La disponibilità dell’AI generativa ha reso chiunque capace di creare un contenuto testuale di buona qualità. Chi ama scrivere evita queste scorciatoie e preferisce confrontarsi con l’ispirazione e la creatività a “mani nude”. La scrittura è una sfida con sé stessi che merita di essere affrontata in un leale corpo a corpo.
Un modello di AI generativa è addestrato su una moltitudine di opere scritte di origine umana. La sua capacità generativa si basa sulla possibilità di combinare su base statistica contenuti preesistenti. Questo meccanismo, a prima vista, rende la capacità generativa AI diversa dall’immaginazione umana, ma ne siamo sicuri?
Recentemente ho scritto e pubblicato un racconto “Unico testimone la Luna”, esso è indubitabilmente farina del mio sacco. L’ho immaginato e scritto io, quindi è un contenuto senza dubbio originale.
Ma quale opera scritta possiamo considerare veramente originale?
Con il termine originale intendiamo prodotto da qualcuno da zero, non copiato, scaturito dall’immaginazione. Ma se ci fermiamo a riflettere, ci accorgiamo che, ciò che consideriamo esclusivo frutto della nostra mente, è solo il prodotto di una lunga serie di contaminazione, suggestioni ed esperienze vissute lungo l’arco di una vita. Alla fine, ciò che scrivo non è necessariamente nuovo od inedito, ma semplicemente la combinazione conscia ed inconscia di qualcosa che ho letto, visto ed esperito fino a quel momento.
Dal punto di vista puramente generativo, forse non siamo molto diversi dall’AI. Vivendo, interagiamo con il resto del mondo ed alimentiamo un modello (mente e memoria) che influenza il nostro comportamento e la nostra creatività. Diversamente dall’AI il nostro modello è alimentato da una serie di informazioni sensoriali captate attraverso il corpo. Ciò che creiamo è sempre la sommatoria degli eventi di cui siamo testimoni o attori. L’elaborazione degli eventi sensoriali che ci hanno raggiunto, coinvolto e che alla fine ci hanno trasformato.
Un creativo in effetti può essere considerato una “macchina” che grazie ad una particolare sensibilità, elabora il proprio vissuto e lo reinterpreta, trasformandolo in un’opera. L’AI non ha una fisicità, non vive il mondo concreto, non raccoglie stimoli sensoriali e non sperimenta le emozioni. È un alieno che conosce l’umanità attraverso ciò che essa ha prodotto a livello letterario. Può dire di conoscerla molto bene, può persino mimarne il comportamento, impersonando qualcuno, ma non è in grado di replicarne l’essenza. Alla fine quel corpo che ci rende esseri finiti e limitati, forse rappresenta proprio il nostro vantaggio competitivo.
Leggendo un libro è spontaneo domandarsi quanto ci sia di autobiografico dell’autore. Io sono dell’idea che in un’opera c’è inevitabilmente sempre tutta la vita intera dell’autore. Non in senso stretto di accadimenti, ma nel significato che l’opera racchiude in sé. Per questo trovo molto più interessante indagare sui motivi che hanno messo in moto quella macchina e che, attraverso un processo di trasformazione, ha dato vita a quell’opera. L’AI, non potendo provare emozioni, non è in grado di mettere in moto questo processo. Il significato forse è la chiave di tutto. L’AI può generare poesia, ma non è in grado di coglierne il significato e quindi non ne subisce l’effetto. Può decifrare la metrica e farne la parafrasi, ma non è in grado di emozionarsi per la sua bellezza.
Forse fino a quando l’AI sarà incapace di provare stupore di fronte ad un panorama, godremo del vantaggio di essere umani.