La lezione del bosco

Sabato scorso decido di tornare a vedere una cascata molto suggestiva.
La prima volta ci andai ad agosto di due anni fa in una giornata molto calda. Trovai senza fatica la località e lasciata la moto mi avviai a piedi per il sentiero, seguendo le indicazioni trovate sul web. Ad un certo punto sbagliai direzione ed imboccai un deviazione a destra scendendo una ripida discesa. Una volta resomi conto dell’errore risalire fu molto faticoso ma raggiunsi la meta e ne valse la pena.

L’altro giorno la giornata era fresca. Prima di partire mi documento nuovamente sul tragitto e parto con la moto. Una volta sul posto mando un messaggio a mia moglie per informarla dove sono, perché la prudenza non è mai troppa. Mi incammino. Nella parte iniziale trovo i riferimenti previsti: la sbarra e più avanti la madonnina. Rassicurato, procedo per il sentiero con il mio bias mentale: “Non andare mai a destra”. Trovo varie deviazioni ma, fedele al mio mantra, prendo sempre a sinistra. Il bosco in questo periodo è rigoglioso e colorato, i crochi lilla spuntano del terreno e i fiori gialli del maggiociondolo dondolano pigri. Sono solo e nell’aria quieta echeggiano i cinguettii degli uccellini, un’atmosfera magica.
Il sentiero sale e a tratti si fa ripido. Non lo ricordavo così impegnativo, mi dico che la memoria può giocare brutti scherzi e vado avanti tenace. In una salita trovo uno strato di foglie secche che forma un cuscino cedevole di dieci centimetri, mai visto su questo sentiero, deve essersi formato nel tempo. Procedo sapendo di dover incontrare una fonte d’acqua, ma non la vedo ancora e mi sembra di avere fatto parecchia strada. Il sentiero per lo più è immerso nell’ombra e quando si apre per brevi tratti vedo il monte che mi sovrasta imponente. La rete dati cellulare, alle pendici di questo massiccio, è scarsa e non riesco ad avviare Google Maps quindi posso solo sperare di essere sul sentiero giusto.

Ad un certo punto il sentiero termina nel canalone sassoso di un torrente in secca. In una frazione di secondo mi passano per la testa tutta una serie di pensieri: “Chi ha spostato la cascata ? Non è possibile che il torrente sia in secca. Più in basso sento rumore d’acqua. Voglio parlare con il direttore!!”
La parte razionale del mio cervello ha presto la meglio su quella più antica ed istintiva e prendo immediatamente coscienza di aver sbagliato percorso. La cascata non è secca, lo so perché ho visto recenti filmati sui social. Posso solo ipotizzare che questo sentiero viaggi troppo alto sul fianco della montagna, per questo non ho intercettato il salto d’acqua. Commento tra me e me che certo qualche indicazione in più, lungo il percorso sarebbe stata utile. Armato di pazienza torno indietro ed al primo bivio e prendo a destra. Questo sentiero corre più basso, forse è quello giusto. Mi inoltro e poco dopo noto che il sentiero è devastato da frane, alberi caduti ed erba alta, tutto ciò mi fa pensare che anche questa deviazione sia errata. Torno indietro nuovamente, ma a questo punto faccio delle riflessioni. Fino a lì ho consumato parecchie energie e per tornare devo affrontare due salite ripide.
Rinunciare sarebbe un peccato, ma anche trovando la strada giusta, sarò poi in grado di fare l’intero percorso a ritroso ? Le cose belle richiedono fatica ed impegno, ma l’energia è una risorsa limitata, devo valutare bene quale sia il mio punto di non ritorno.
Torno indietro fino alla successiva deviazione. Non mi posso permettere una terza esplorazione con esito negativo. Mi fermo a prendere fiato all’incrocio, alzo un po’ gli occhi e lo vedo.
Un piccolo cartello quadrato rosso con una freccia che indica “Cascata”: che idiota. In Toscana avrebbero detto “Maremma maiala! Un’llo visto!”.

A questo punto non ho dubbi, la “tigna” prevale sulla stanchezza. Seguo il sentiero sicuro di essere nel giusto. Faccio un bel tratto di strada con almeno altre due discese ripide che si aggiungono al percorso che dovrò fare al ritorno, ma ormai pazienza. Sento il rumore dell’acqua sono vicino. Dopo un po’ infatti arrivo alla cascata e la sua vista mi ripaga di tutte le fatiche.
Nessuna frivola esultanza. Rimango in silenzio a contemplare quello spettacolo mentre il fragore dell’acqua riempie l’aria.
Una breve sosta per bere e poi riparto, perché le salite mi attendono e non voglio farle aspettare. Le salite come previsto si fanno sentire, però con passo lento costante le supero una dopo l’altra. E’ incredibile la strada che si riesce a fare a piedi nonostante la stanchezza. La discesa finale per arrivare al paesino è gioia pura. Adesso sono felice, ho raggiunto l’obiettivo.

A questo punto sono d’obbligo alcune riflessioni.
La prima esperienza negativa ha generato una distorsione mentale che mi ha indotto nuovamente fuoristrada, mi viene da dire che a volte: sbagliando si sbaglia.
La convinzione di essere sulla strada giusta mi ha impedito di valutare correttamente alcuni segnali tra cui proprio i cartelli: l’eccesso di focalizzazione mi ha impedito di cogliere segnali utili. E dire che questa è una vecchia lezione che pensavo di aver appreso.
Nonostante tutto ad un certo punto la realtà ha preso il sopravvento sulle mie false convinzioni ed ho adottato un approccio più razionale al problema.
Per raggiungere un obiettivo la motivazione è fondamentale, ma non basta, servono le risorse.
Le risorse sono limitate ed è importante tenerle sotto controllo. A volte fallire è meglio che insistere. Non importa quanto siano solide le tue convinzioni, se trovi evidenze che dicono il contrario devi essere pronto a cambiare idea. Non importa quanta strada hai fatto, se hai sbagliato direzione la prima cosa da fare è tornare indietro, proseguire non farebbe altro che peggiorare l’errore.
A questo punto spero solo di avere imparato la lezione e magari la terza volta sarà quella buona.

Best practice


Molti anni fa, agli albori della mia carriera professionale, partecipai ad un corso di team building. Svolgemmo numerose esercitazioni, ma ce ne fu una che più delle altre lasciò in me un segno indelebile.
L’esercizio prevedeva di risolvere un puzzle piuttosto complicato in un tempo limitato attenendosi rigorosamente alle regole che erano state scritte alla lavagna.
A circa metà del tempo il formatore, senza dire nulla, attaccò alla lavagna un disegno con la soluzione. Noi incuranti proseguimmo il nostro lavoro tentando di risolvere il rompicapo.
Il tempo a nostra disposizione terminò e non trovammo la soluzione.

Il formatore chiese chi avesse notato la presenza della soluzione e chi l’avesse utilizzata per risolvere l’esercizio. Io in effetti l’avevo notata, ma non l’avevo presa in considerazione avevo pensato tra me: “Troppo facile, copiare non vale”.
Il formatore ci fece notare però che tra le regole non era inclusa quella di non copiare. In effetti l’obiettivo dell’esercizio era dimostrare che il mindset influenza il comportamento e tende a ridurre lo spazio di ricerca della soluzione. Inoltre essere troppo focalizzati sul problema a volte impedisce di cogliere eventuali preziosi aiuti esterni: pensiero laterale. Nel caso specifico ci svelò che siamo cresciuti con l’idea che copiare è sbagliato e con il senso di colpa che ne deriva.

In quel momento presi consapevolezza di quanto la mia visione del mondo fosse influenza dal retroterra culturale d’origine.
Il messaggio che passò è che il mondo del business è spietato, conta il risultato e non come ci si arriva. Io sarò romantico, ma a questa idea di un mondo cinico e crudele non mi sono mai piegato.
Però è innegabile che copiare sia uno sport molto diffuso. Forse è per questo tendiamo a parafrasare. Per esempio “Prendere spunto” suona già meno peccaminoso. Domani quando qualcuno vi apostroferà sdegnato:
“Ehi, ma tu hai copiato!” potrete sempre rispondere sorridenti e sornioni:
“No, certo che no. Ho solo applicato una best practice”.