Tessere la tela della fiducia

“Le ali della libertà” 1994 scritto e diretto da Frank Darabont tratto dal racconto “The Shawshank Redemption” di Stephen King. Disponibile su Amazon Prime

Questa è una sequenza del film “Le ali della libertà”.
Il film racconta la storia di un uomo ingiustamente condannato Andy Dufresne (Tim Robbins) che deve scontare una lunga pena detentiva in carcere.
Il film è particolarmente toccante e questa è una delle scene che amo.

In questa sequenza Andy, esce dal ruolo di carcerato e lo fa in modo temerario. Sfotte volutamente il capo delle guardie, sfidando platealmente il suo potere. A prima vista si tratta di un suicidio, ma non è così. Possiamo considerarla piuttosto una tecnica di marketing estremo. Uno scarafaggio in mezzo a tanti altri che deve guadagnare l’attenzione del capo sorvegliante.
Sfida il potere e la forza bruta facendo leva sull’ambizione del secondino di sottrarsi a quel potere da cui a sua volta è soggiogato: il Fisco.
Già perché, fuori da lì, i carcerieri sono oppressi da quella legge che nel carcere fanno rispettare. Andy però si dice in grado di navigare tra le pieghe della burocrazia e conquista così la fiducia del capo delle guardie. Impresa difficile visto che deve farlo senza delegittimarlo di fronte ai tutti i presenti. Non solo, azzera il contro valore di questa bizzarra transazione, limitandosi a chiedere in cambio delle birre per i suoi “colleghi”.
Ciò naturalmente rappresenta solo una prima piccola vittoria tattica rispetto alla strategia che ha in mente di dispiegare. Questa è soprattutto una grande vittoria simbolica.

Quell’uomo esile ed indifeso ha fatto un incantesimo. Sotto gli occhi di tutti ha fermato il tempo e sovvertito i ruoli anche se solo per un attimo. Da scarafaggio ha riacquistato una sua dignità fino a diventare addirittura un consulente del suo carceriere: impensabile. Il denaro qui si riconferma ancora una volta la forza oscura che può tutto ed è in grado di annullare: Gerarchia, Legge, Stato.
I suoi compagni ora sono colleghi, lavoratori con una dignità.
Quel tetto anonimo, per un attimo, diventa per Andy e i suoi compagni il tetto del mondo.

Questa sequenza mi ha indotto ad una serie di riflessioni sul concetto di fiducia nell’ambito di team di lavoro.
Come si instaura un rapporto di fiducia in un team ?
Direi nel tempo con pazienza. Dimostrando l’un l’altro coerenza nelle parole e nelle azioni. Azioni che debbono avere come finalità un obiettivo comune e non personale.
Qual é il primo passo concreto per dimostrare fiducia ? Un dono disinteressato che dimostri una generosità sincera. Un gesto di solidarietà a beneficio del team. Andy fa questo, si lancia in una sfida folle, corre un rischio personale. Vince e quando riscuote il premio lo dedica agli altri: lui la birra neanche la beve. Nell’ambiente carcerario dove tutto è ridotto a merce di scambio e non c’è posto per i sentimenti umani, questo atto di solidarietà rende Andy un alieno, ma anche una persona di cui potersi fidare.

Costruire un rapporto di fiducia tra colleghi è un lavoro lungo e faticoso. Bisogna essere sinceri, trasparenti e curare la comunicazione. Avere pazienza, chiedere scusa e ringraziare, usare gentilezza nei rapporti. Tutto ciò alla lunga rende l’ambiente sereno e collaborativo. Se c’è un problema, non si cerca il colpevole, ma si coopera per risolverlo, poi si cerca la causa e si adotta un sistema per evitare che il problema si presenti nuovamente.

Lavorare in un team basato sulla fiducia fa sentire le persone al sicuro e crea quindi le condizioni migliori per lavorare sereni. Sentirsi psicologicamente sicuri è la condizione necessaria per affrontare nuove sfide, perché insieme ci si sente più forti e si ha il coraggio di affrontare l’ignoto. La fiducia è come la seta del ragno, un materiale delicato che se tessuta con maestria, può formare una tela robusta. La tela della fiducia è preziosa perché rappresenta una rete di sicurezza che protegge da eventuali errori o cadute.
Credo che la fiducia sia un elemento imprescindibile per il buon funzionamento di un team, per questo è importante che ciascuno si impegni a tessere questa rete dal filamento sottile ma tenace.

L’Acchiappasogni

In quel luogo solitario e segreto racchiuso nel verde, il torrente suonava la sua scrosciante melodia.
Una fresca brezza accarezzava l’acchiappasogni.
Ruotava lentamente su se stesso, prima da un verso poi dall’altro.
Quasi fosse un orologio mosso da mano invisibile che misura lento lo scorrere del tempo.

Breve viaggio alle radici dell’ispirazione

Come nasce l’ispirazione ?
Difficile da dire. Una cosa letta, sentita, pensata. Elementi diversi lontani ed estranei che improvvisamente si collegano tra loro a formare un disegno, qualcosa che prima non esisteva.
La novità è che posso portare un piccolo esempio concreto.

Ieri mattina 6.30 mi gusto questo video:

Geopop intervista Valentino Rossi

Valentino è spettacolare. Fa fatica a spiegare come si curva con la moto. Per lui è del tutto istintivo e allora non trovando le parole sopperisce con la mimica.
Tra parentesi chi va in moto lo sa, è del tutto controintuitivo, ma la moto entra in curva controsterzando leggermente nel senso inverso: è la fisica del giroscopio.

Condivido il link del video in un gruppo di miei amici biker e qualcuno commenta ridendo: “il trucco sono le gomme…”.
Questa frase comincia a solleticarmi il cervello e dopo qualche secondo arriva l’ispirazione:

“il trucco sono le gomme…” 
Lo diceva sempre, ormai vecchio e al termine della sua lunga carriera, il Grande Mago “Cancellini” a chi gli chiedeva il segreto del suo successo. 
Nei suoi spettacoli, invero un po’ lunghi, era in grado di far sparire perfettamente enormi disegni tracciati a matita dopo averci lavorato sopra con buona lena.

Come nasce il Mago “Cancellini” ?
Quando ho letto quella frase mi sono chiesto se, mantenendo ferma la sua validità, potessi costruirgli intorno un contesto completamente diverso ma plausibile per quanto assurdo ed improbabile. Penso ad altre gomme, quelle per cancellare. La gomma per cancellare fa sparire i segni della matita, in certo senso fa una “magia”. Allora ci vuole un mago. Il nome Cancellini emerge spontaneamente. Penso sia stato un tributo inconscio al Tenente Colombo che nell’episodio “L’illusionista” si confronta con un assassino prestigiatore: “L’inarrivabile Santini”.
L’idea di un mago farlocco e di un pubblico altrettanto credulone è una traslazione dei super eroi con poteri assurdi ed inutili di Leo Ortolani in Rat-Man.
Leo mi ha fornito un’altra preziosa fonte d’ispirazione, il suo mago “Braccini” presente in “The Walking Rat.

“The Walking Rat” di Leo Ortolani


Così qualche minuto dopo nasce e muore un personaggio nonsense.
Il micro racconto, quasi un epitaffio, nasconde fino alla fine la giustificazione assurda della frase, ma contribuisce a rendere il contesto coerente.
Questo è stato possibile solo attraverso una prima stesura e successivi piccoli ritocchi del testo, fino ad arrivare ad una forma musicale e consistente.
La scrittura, con la sua asincronia, ha questo vantaggio, dà la possibilità di cesellare le frasi con cura. Dal vivo tutto ciò è impossibile, si ha solo una possibilità per sfruttare il tempo comico, si chiama arte dell’improvvisazione ed è un dono raro riservato a persone molto brillanti.

Alla fine non saprei dire sinceramente se tutto ciò possa essere considerato creatività o piuttosto rielaborazione, ma vi garantisco che quando capita lascia una piacevole sensazione.

Tempo sospeso

Quest’immagine l’ho colta dalla finestra della cantina di un palazzo storico.
Mi ha colpito il contrasto tra l’eleganza degli archi a volta e la sensazione di vuoto. L’oscurità degli spazi laterali che evoca un tempo remoto e si contrappone alla luce che cade dall’alto, quasi un monito a non dimenticare.
Un luogo spoglio e abbandonato ma con un fascino antico.

Tirare i dadi

Basta. 

Ho deciso di cambiare vita. 

La Terra mi sta stretta ed ho bisogno di lasciarmi tutto alle spalle. 

Ultimamente ho fatto dei colloqui per trovare un nuovo lavoro ed ho deciso di accettarne uno che mi portera’ molto lontano da qui. 

Tra pochi giorni mi imbarchero’ come specialista informatico su un cargo interstellare che e’ impiegato per trasporti minerari. 

Dovro’ rinunciare allo smart working, ma questa e’ scelta di campo. 

Quelli della societa’ mi hanno fatto un’ottima impressione. Sono molto gentili e oggi mi e’ arrivato per posta il welcome pack, tra i vari gadget c’era questa t-shirt.

La societa’ che mi ha assunto e’ la Weyland-Yutani l’astronave su cui mi imbarchero’ e’ la USCSS Nostromo e la destinazione e’ il pianeta LV-426. 

Non sto nella pelle dalla felicita’. 

Costanti universali

Ieri Emma, una mia amica, ha pubblicato la prima puntata del suo podcast e mi ha confessato di provare un po’ di vergogna.
L’ho rassicurata. Non mi sono mai cimentato nei podcast, ma so per certo che far leggere a qualcuno ciò che hai scritto richiede il superamento di questo scoglio psicologico, ne parlavo proprio qui.
Perciò, a maggior ragione, trovo lodevole che lei si sia lanciata in questa nuova iniziativa creativa.
Incuriosito, appena mi è stato possibile ho ascoltato i suoi consigli su come fare ordine nell’armadio.
Bè il podcast è simpatico frizzante e per essere un primo esperimento Emma se la cava proprio bene: complimenti!

La puntata mi ha indotto ad alcune buffe riflessioni sul tema.
Premetto che io non ho giurisdizione sugli armadi di casa, mia moglie è la plenipotenziaria. Lei ha un animo fashion ed una passione per borse e scarpe.
A livello di abbigliamento con le sue truppe è sconfinata in modo permanente, già da tempo, in tutte le aree di confine, occupando stabilmente tutti gli armadi altrui.
Nonostante in inverno trascorra interi pomeriggi a riordinare, il posto in cui stipare vestiti e accessori sembra non sia mai abbastanza.
Ipotizzo cautamente che il processo di eliminazione per ora abbia la peggio rispetto al processo di acquisizione, ma questa è un’indagine destinata all’insabbiamento.
Preferisco pensare che sono io ad avere dei limiti che non mi permettono di comprendere appieno questo strano fenomeno.
D’altra parte io sono di gusti sobri e preferisco rimanere ancorato a delle costanti cosmologiche universali: un maglione blue e una camicia a quadretti.
Forse sono un minimalista in erba, non lo so.
Nel dubbio, rimango in paziente e fiduciosa attesa che gli scienziati penetrino i misteri della fisica quantistica così che possano finalmente aprirci gli infiniti spazi del multiverso in cui poter sistemare ordinatamente altri capi di abbigliamento; naturalmente.

La tv generalista

Sono del 72 ed ho trascorso la mia infanzia a giocare con LEGO ed il rumore della tivù in sottofondo.
La mia generazione è cresciuta con i cartoni animati giapponesi.
Mi ricordo ancora, quando una sera verso le 18.00 su Rai1, per puro colpo di fortuna, mi imbattei nella prima puntata di Goldrake.
Nell’epoca pre-internet la tv era un media moderno rispetto alla carta stampata: ora quell’epoca sta finendo.

Internet in tutte le sue declinazioni ha soppiantato la tv che sta velocemente perdendo percentuale d’ascolto fra i giovani.
Un indicatore evidente dell’agonia della tv è la scarsa qualità dei programmi proposti, con qualche eccezione.
Le produzioni hanno bisogno di denaro messo a disposizione dagli inserzionisti, ma se gli ascolti calano il budget si riduce e così per riempire il palinsesto si comprano prodotti a basso costo di scarsa qualità.
D’altra parte chi investe in pubblicità vuole avere una misura precisa dell’efficacia dell’investimento e questo con la tv non è possibile: l’auditel rimane una figura mitologica.
I nuovi media invece garantiscono una profilazione di estremo dettaglio e: “il feedback è tutto”.
Nella tv generalista già da tempo ciascun canale ha identificato il suo ascoltatore tipo e modulato programmi e relativi spot in base al profilo.
Con la tv digitale è aumentato lo spazio a disposizione, si sono moltiplicati i canali, ma per converso riempire il palinsesto è diventato più difficile.
I canali sono diventati tematici ed hanno cominciato a trasmettere vecchie serie televisive americane che vedevo quando ero giovane: come nella moda tutto torna.
Negli ultimi tempi poi i talk show, di solito infestati da politici, hanno lasciato il posto a virologi, scienziati e la situazione non è certo migliorata.

Visto come stanno le cose, di solito appronto delle contromisure: Netflix, Amazon Prime Video e Audible o un bel libro.
Certe volte però l’istinto primordiale di accendere la tv e fare zapping prevale. Mi abbandono a quell’irrazionale e nostalgica speranza di imbattermi ancora una volta, fortuitamente, in qualcosa che valga la pena di essere visto o rivisto.
E’ come dare l’ennesima possibilità ad un amico di vecchia data che ti ha tradito più volte: speri sempre di essere smentito.

Domenica scorsa dopo pranzo, mi aggiravo disperato in questa landa desolata che è la tv. Inaspettatamente mi sono imbattuto nell’inizio de i “I tre giorni del condor” con Robert Redford.
Bellissimo film di spionaggio, tra i migliori del genere. Regia di Sidney Pollack.
I primi minuti non li avevo mai visti, ma sono importanti perché tratteggiano l’antieroe Joseph Turner ed il tranquillo mondo in cui si muove. Di lì a poco, tutto andrà in pezzi e questo “topo di biblioteca” nome in codice Condor, dovrà improvvisarsi spia per impedire la sua “estinzione”.

Insomma ho avuto l’opportunità di godermi il film rivedendolo per l’ennesima volta. Alla fine spinto dalla curiosità sono a andato a vedere l’anno 1975: azz!
Mi sono fermato a riflettere sugli spot andati in onda durante il film: adesivo per dentiere, poltrone, quadricicli e montascale.
Certo se il film è del 75 o sei in fascia terza età o sei un amatore!
Nel mio caso la seconda.

Ad oner del vero tra i canali RAI si trovano ancora programmi validi che poi sono resi disponibili via Internet su RAI Play.

Comunque è evidente che la tv generalista è avviata verso l’estinzione, proprio come il condor…

“Si puo’ fare!! “

Gene Wilder in “Frankenstein Junior” di Mel Brooks

Non so se nella vita o nel lavoro ti e’ mai capitato d’imbatterti in un problema particolarmente difficile o complesso a cui trovare una soluzione.

A me capita spesso e queste occasioni di solito le colgo come sfide intellettuali con me stesso.

Di solito entro in un tunnel, in cui, attutiti gli echi del mondo esterno, comincio ad analizzare i dati ed il contesto del problema.
Costruisco un modello mentale e faccio piccoli esperimenti concettuali per vedere se il modello regge.

Una volta individuata la soluzione più semplice la realizzo e faccio una prova sul campo poi se l’esito è positivo si pensa ai dettagli.

Credo che tutti i software developer adottino in modo più o meno cosciente un simile algoritmo che ha molto a che fare con il metodo scientifico.

Questo processo solitamente non è immediato.

Nel mio caso l’analisi del problema ha bisogno di un periodo di decantazione e per focalizzare il problema ci devo tornare più volte anche a distanza di tempo.

In certi casi la soluzione emerge da sola, magari di notte mentre mi rigiro nel letto, ma ci vuole tempo.
E’ come se la mente cercasse da sola una soluzione sepolta nel deserto, cercando di farla affiorare lentamente dalla sabbia, erodendo pazientemente le dune con leggere folate di vento.

Naturalmente ciò può essere molto frustrante.

Non a caso per chi opera in campo scientifico è fondamentale associare ad una spiccata immaginazione una robusta tenacia nella ricerca di conferme alle proprie ipotesi.

Non sempre si ha disposizione tutto il tempo necessario.

Perciò spesso, con spirito pragmatico, si adotta una soluzione temporanea e si rimanda una soluzione più elegante alla prossima occasione.

Nella ricerca della soluzione c è tutto il nostro io, con il bagaglio di conoscenza accumulato nel tempo, gli errori fatti e i successi compiuti.
E’ proprio questo patrimonio di esperienza che può influire in modo decisivo sui tempi di individuazione della soluzione.

Ciò che mi affascina di più, è il processo mentale di costruzione ed esclusione delle soluzioni alternative.
Usando l’immaginazione la mente crea dei micro universi alternativi e vede se funzionano.
E’ creatività allo stato puro, perché si plasmano idee e concetti prima della materia e ciò rende il processo molto efficiente.

E’ come se la conferma della correttezza di una teoria fosse una profezia che ci viene rivelata.
La mente crea un universo futuro e vi si proietta, lo osserva e si convince della sua consistenza.
Un vero e proprio atto di creazione a cui segue l’effettiva alterazione della materia: la mente plasma il mondo.

L’esclamazione del Dott. Frankenstein esprime in modo emblematico la magia del momento in cui la mente si convince che un pensiero può concretizzarsi nel mondo reale.

COVID-19

Primavera 2020, siamo in piena emergenza virus.

Stiamo reagendo, siamo fiduciosi, ma in realtà non sappiamo quale sarà l’esito di questa battaglia.

Questo sentimento di incertezza e di impotenza ci disorienta, perché è nuovo per la maggior parte di noi. Possiamo solo fare qualche riflessione. 

La globalizzazione ci ha reso fragili. Il sistema economico e produttivo degli stati e’ totalmente interconnesso quindi poco resiliente. Taleb  sostiene che le organizzazioni piccole sono più robuste ai cambiamenti. Paradossalmente per affrontare una pandemia dovremmo coordinarci a livello europeo o mondiale, ma non ci siamo.

Chi è preposto a tutelare la salute pubblica conosceva il rischio, ma non è stato proattivo. Cercare il colpevole in questa fase non è utile, farlo successivamente sarà etichettato come dietrologia, ma senza feedback non possiamo migliorare. 

Il copione si ripete: le cassandre hanno lanciato l’avvertimento, ma nessuno ha lavorato per fronteggiare un simile scenario, ed ora cerchiamo un eroe che risolva un guaio che non ci siamo preparati ad affrontare.

Dominiamo i dati, ma difettiamo a livello di azioni e comportamenti.

I più fortunati, non infetti e non impegnati in prima linea, devono stare a casa per evitare il contagio, ma non siamo abituati agli arresti domiciiari.

Il risveglio dal nostro “sonno digitale” e’ stato brusco ed inaspettato. Da un momento all’altro gli italiani sono in pericolo di vita, sensazione mai vissuta per chi è nato dopo la seconda guerra mondiale. La reclusione in casa propria può sembrare dura, ma è una esperienza ben diversa da chi è vissuto nei rifugi antiaerei durante i bombardamenti in tempo di guerra. 

Ne usciremo diversi? Credo di sì, almeno in parte.

Daremo un nuovo significato alla libertà di movimento.

Rivedremo le nostre priorità abbandonando le preoccupazioni per ciò che è futile. 

L’economia ne risentirà e sarà un problema, ma dopo, solo se resteremo in vita.

La prorita’ assoluta è sempre sopravvivere. 

Non rimandaremo più le cose a cui teniamo, perché la verità è che non abbiamo a disposizione un tempo infinito

Acquisiremo una consapevolezza nuova:  la rivoluzione digitale ci ha dato l’illusoria sensazione di poter fare tutto facilmente, ma rimaniamo degli esseri molto fragili e facciamo parte di un ecosistema delicato.

Stamattina in giardino con il traffico quasi azzerato, al di là della rete di recinzione, uno stormo di uccelli su una quercia. Il loro cinguettio riecheggiava prepotente per tutta la campagna, sembrava quasi la risata beffarda della natura a sottolineare  la sua supremazia.