Lo spirito del biker

Monte Nerone vista sulla costa adriatica

Qualche tempo fa chiacchierando con una mia amica le dissi che ero stato a fare un giro in moto.
Lei mi guardò in modo interrogativo e mi chiese: “E dove dovevi andare ? ”
Io: “In nessun posto in particolare. Semplicemente un giro.”
Lei poco convinta: “Ah bè.”

Tentai di spiegarle quanto sia bello andare in moto, ma non ci riuscii.
L’episodio mi colpì e mi fece riflettere.
Chi me lo fa fare di salire su una moto ed espormi a tutti i rischi che ciò comporta ?
Andare in moto è oggettivamente pericoloso. Possono andare storte tante cose: un problema meccanico, un animale che attraversa, la breccia in mezzo alla curva, qualcuno che non ti dà la precedenza.
E ancora perché spendere per la manutenzione, la benzina, le gomme ecc. ?
La risposta naturalmente è la passione. Quel sentimento irrazionale che ti induce a fare cose fuori dell’ordinario, ma che ti fanno sentire bene.

Da quel momento raramente esco in moto senza essere vestito di tutto punto.
Inoltre ogni volta che la congiunzione astrale è favorevole per un’uscita devo vincere una certa vocina che mi dice “ma n’do vai, lascia perde…” e mi fa sentire stupido.
E’ esattamente la stessa stupidità che ho sperimentato nel 2007 quando, dopo parecchi anni, mi sono convinto a ricomperare una moto e, all’ingresso del concessionario, mi sono detto: “cosa sto facendo ?”
Quella vocina continua a tormentarmi mentre mi infilo gli stivali, indosso il giubbotto e calzo il casco.
Eppure mi basta percorrere pochi metri in sella alla mia XT e quella vocina si è già volatilizzata.
La sensazione di leggerezza di libertà e quell’equilibrio ritrovato danno un senso a tutto ciò.

Santo Stefano Arcevia (AN) sullo sfondo Monte Strega e Massiccio del Monte Catria e Acuto

Chi non è un motociclista vede la moto come un semplice mezzo di trasporto che può portarti dal punto A al punto B, ma tutto ciò è estremamente riduttivo.
Chi ama la moto crede profondamente nell’idea che il viaggio conti più della destinazione.
Poi ciascuno motociclista vive l’esperienza di andare in moto in modo diverso. Chi ama l’adrenalina e chi invece preferisce i panorami.
Io personalmente amo viaggiare lentamente e sfrutto la moto per esplorare i nostri appennini, quindi spesso abbino un giro in moto ad una breve escursione in montagna.
Per questo preferisco strade secondarie non trafficate che mi regalano scorci spettacolari sul nostro territorio.
Gironzolare per le nostre vallate tra l’azzurro del cielo ed il verde della campagna è un grande privilegio.
Le strade familiari, la bassa velocità la natura intorno e i panorami fino alle montagne, unite alla danza delle curve mi fanno entrare in uno stato di pace dalla quale spesso scaturiscono ispirazioni creative.

Monte San vicino sullo sfondo la diga di Castreccioni a Cingoli (MC)

Quando siamo in sella alle nostre moto con le nostre “armature” ci sentiamo dei cavalieri medievali. Non abbiamo nemici da sfidare, noi siamo difensori.
Le protezioni che indossiamo sono a difesa dello spirito bambino che alberga in noi. Quello che osserva affascinato il mondo con occhi pieni di curiosità. Nel nostro peregrinare cerchiamo di mantenere quello spirito capace di stupirsi di fronte ad panorama. In definitiva siamo cavalieri erranti alla perenne ricerca di meraviglia, perché questo ci fa sentire vivi.
La moto è un mezzo per teletrasportarsi in una dimensione utopica dove i problemi della vita non esistono. Un periodo di sospensione in cui torniamo ad essere quegli adolescenti che in sella ad un cinquantino assaporano una libertà fino a quel momento sconosciuta.
La nostra è una magia di breve durata ma ripetibile. Le emozioni vissute un patrimonio prezioso che nessuno potrà mai toglierci.

Cavalli d’acciaio e cavalli in carne ed ossa

Recentemente quella mia amica è andata in montagna insieme alle sue compagne storiche. Quattro donne che fanno un viaggio insieme e si lasciano alle spalle per qualche giorno famiglia, lavoro e tutti gli affanni della vita per ritrovare se stesse è una cosa stravagante, coraggiosa e poetica: da veri biker.
Perché lo spirito del motociclista è solo uno stato mentale e per viverlo non serve necessariamente guidare una moto.

Strani fenomeni quantistici

Le antenne del Monte Nerone

Salire al Monte Nerone in moto non mi ha mai entusiasmato. La strada per le antenne termina in uno spiazzo circolare asfaltato su cui incombono minacciose le antenne dei ripetitori.
Nonostante si goda di uno spettacolare panorama non ho mai sentito quella magia che cerco quando vado in montagna: una sorta di naturale armonia.
Ho sempre sospettato che il mio fosse un pregiudizio dettato dalla scarsa conoscenza del luogo. Per questo negli ultimi anni ho cominciato ad esplorare meglio questo monte che è uno dei nostri “giganti”.

A maggio 2020 in una domenica mattina soleggiata ma con vento da nord, partii alla volta del Nerone. Nel salire incrociai diverse persone in bici. Non pratico più questo sport, ma mi sono cimentato da giovane ed ho molto rispetto per lo sforzo a cui si sottopongono. Quel giorno a pochi chilometri dalla cima sorpassai una ciclista e proseguì tra i tornanti.
Ebbi l’impressione che la strada non finisse mai e mentre salivo le raffiche di vento erano sempre più insistenti. Arrivato in cima mi accolse un vento freddo e teso che mi indusse a togliere velocemente il disturbo.

Panorama dal Monte Nerone verso est

Nel discendere incrociai nuovamente la ciclista ancora intenta a salire. Complice la bassa velocità e la ridotta carreggiata, le nostre vite per un istante si sfiorarono al rallentatore in direzioni contrarie. Volli tributarle la mia massima stima salutandola con un cenno del capo.
Lei mi risposte educatamente, ma colsi nel suo viso un’espressione di rimprovero che mi mise a disagio. Così provai ad indovinare i suoi pensieri:
“Ma Bravo! Hai conquistato la tua cima e sei già di ritorno.
Io invece devo ancora arrivare alla meta. Ricordati che non c’è alcun onore nel conquistare una vetta senza fatica e sudore.
Certo il fatto che siamo qui in questo istante in questo mondo dice molto di noi, ma il modo in cui siamo qui è molto diverso. Talmente diverso da renderci due particelle vicine che quasi si toccano, ma al contempo lontane anni luce tra loro, agli estremi opposti della galassia.”

Il Nerone mi lasciò ancora una volta l’amaro in bocca, come di una vittoria rubata.
Con il tempo ho proseguito l’esplorazione delle sue pendici e delle zone circostanti muovendomi a piedi lungo i suoi sentieri.
Così ho avuto modo di scoprire luoghi fatati a cui ora sono molto affezionato.
La mia è una paziente danza di corteggiamento appena iniziata.

Gola di Jana

Un sabato primaverile soleggiato e ventoso.
Ci si vede a Corinaldo 9.30 siamo in tre:
Triumph Thunderbird, Yamaha XT, Suzuky SV le moto non potrebbero essere più diverse, ma quello che ci accomuna è la passione.
Brevi presentazioni, perché è pur sempre un gemellaggio tra due gruppi diversi di motociclisti.
Caffettino al bar. Si definisce l’itinerario di massima e via.

Si va per Ostra, troviamo traffico, ma non c’è fretta.
Superato il traffico si prosegue per Montecarotto.
L’asfalto è buono. Il sole splende ed accende i colori tutto intorno, il verde brillante del grano e i fiori rosa dei peschi.
Qualche folata di vento a disturbare la guida.

Da Pianello Vallesina si sale a Cupramontana, cosi’ evitiamo la SS76 e ci gustiamo una bella serie di curve. Si prosegue per Apiro e Frontale.
Sulla strada che sale a Pian dell’Elmo una breve sosta per il limite K-T (un approfondimento). Continuando a salire la temperatura si abbassa ed il cielo è sempre più cupo, in fondo la primavera è solo all’inizio. Superiamo i prati del San Vicino e scendiamo verso la valle per ritrovare una temperatura più mite. Questo è il tratto di strada più rovinato con l’asfalto saltato in vari punti e breccia in giro, ulteriore motivo per scendere con calma. Prima di arrivare a Matelica deviamo a Braccano, una piccola frazione famosa per i suoi murales.

Attraversiamo il paesino seguendo le indicazioni per la Gola di Jana. Per arrivare al parcheggio bisogna fare un breve tratto in breccia piuttosto stretto. Per fortuna il traffico è nullo e il fondo regolare andiamo piano e non incontriamo nessun problema.
Dal parcheggio in quarantacinque minuti a piedi si può arrivare all’abbazia di Roti.
Noi prendiamo un’altra direzione. Seguiamo il sentiero guadando il torrente ed in breve arriviamo alla gola ed alla sua cascata: per me è un posto magico in cui tornare ogni anno.
Qui alcune foto di Agosto 2021 con il torrente in secca.


Scattata qualche foto si torna al parcheggio e si riparte con destinazione Hard Pork di Castel Raimondo.
Si arriva in pochi minuti, qui ci concediamo una rilassante pausa con panino.

Si rientra per San Severino, Cingoli con sosta caffè con vista spettacolare sul mare.

Lungo la strada del ritorno ciascuno prende la via di casa e ci salutiamo con la promessa di replicare presto l’esperienza.

Un Harley Davidson all’improvviso

La vita a volte ti riserva delle belle sorprese.
Così può capitare che tua moglie decida di prendere la patente per la moto e di comperare un’Harley usata e diventare una biker: evviva!

Io ho le mie idee in fatto di moto, sono un orgoglioso possessore di una XT, ma per qualunque motociclista l’Harley rimane pur sempre un mito e poterla provare stuzzicava la mia curiosità.
Dopo essermi documentato a fondo su pregi e difetti finalmente ho avuto l’occasione di provare la Forty Height 1200.

La moto è imponente da ferma ma anche affascinante.
La chiamano il ferro ma chi ha forgiato questo metallo ci ha messo un’anima e poi lo stile minimalista a me piace.
Se l’XT ricorda un Mustang la Forty mi ricorda un Ardennese.

Di Marie-Claire – Opera propria, CC BY 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=11991656

La sella è molto bassa, il manubrio alla giusta altezza, il peso non si avverte troppo.
L’accendo: un ruggito prende corpo dallo scarico e mi incute un certo timore.
Non passerà certo inosservata: ma gli scarichi sono originali ? Meglio rimanere con il dubbio.
Ruotando il gas il grosso bicilindrico vibra vistosamente ma le vibrazioni non si trasmettono al manubrio, è una senzazione straniante per me che sono abituato ad essere scosso dal mono dell’XT.
Ingrano la prima: CLUNTCH! tipico suono onomatopeico del cambio Harley Davidson.
Parto ma le pedane in posizione avanzata non mi sembrano intuitive soprattuto quando è necessario fermarsi in emergenza: io le metterei centrali.
Noto invece che gli specchietti rivolti vero il basso funzionano bene, ammetto che ero scettico.
Il motore è poderoso, 70 cavalli con tanta coppia ai bassi come un  trattore.
Rispetto all’XT mono 600 questo è il doppio esatto: un bicilindrico 1200.
Per me la magia Harley è poter snocciolare le marce con un filo di gas e tenere i 60 in 5°: certo se il rumore dello scarico fosse meno accentuato.
Le buche e lo sconnesso si sentono soprattuto dietro: ho letto che molti cambiano gli ammortizzatori.
La moto è agile ma sulle curve lente non mi trovo ho paura di toccare le pedane.
Si accende una spia: RISERVA! Azz non avevo il pieno, ma ho fatto pochi chilometri. Capisco perchè il serbatoio è detto peanuts (nocciolina) solo 8 lt: almeno un 12 litri…
Il Ferro sul “ferro” : è stata una bella esperienza da ripetere.
Ma per andare in motagna non toglietemi la mia XT!

Una moto giapponese ed il mito del West

La mia carriere di motociclista iniziò a 16 anni.
Grazie ai bei voti a scuola, per gentile concessione di mio padre, ottenni la mia prima moto una Gilera 125 ER.
In quegli anni il mercato delle 125 era vivacissimo e c’erano in giro moto italiane bellissime.
Con l’ER feci molti chilometri e mi divertì molto.

Poi fino a 35 anni, pur nutrendo una profonda passione per le moto e la meccanica, non ho più avuto alcuna moto.
Così, quando arrivava la primavera ed insieme al ronzare della api giungeva il rombo di una moto che passava, soffrivo un po’ in silenzio.
Poi grazie anche ai colleghi di lavoro, motociclisti di vecchia data, si è risvegliata in me l’idea un po’ folle di comprare una moto.
Qualche tempo prima, andando a Milano per lavoro, in una via laterale, avevo notato più volte una moto parcheggiata in modo distratto, probabilmente abbandonata alle intemperie. Si trattava della mitica Yamaha SRX 600!
E’ una moto passata quasi inosservata in Italia, ma che da adolescente mi aveva affascinato molto.
Così decisi di ricominciare la carriera di motociclista da questa modello così particolare.
Dopo qualche ricerca, con un po’ di fortuna, ne trovai una dell’86.
Una moto rara dalla linea retro, ma futuristica per i sui tempi: una naked monocilindrica con scarico corto.
In Italia non è stata capita nel nord-Europa invece la venerano.

Con l’SRX ho ricominciato ad assaporare il piacere di andare in moto.
Con il tempo però ho scoperto che il mio pragmatismo mi impedisce di essere un collezionista.
In altre parole non amo possedere oggetti, preferisco le sensazioni che possono trasmettermi.
Per cui dopo qualche anno sono passato ad una più “recente” e pratica YAMAHA XT 600 del ’98.

Non so come spiegarlo per me andare in moto è magia pura.
Il momento ideale è la primavera, aria tiepida, senza vento, non ci sono insetti, il cielo è terso e l’aria è piena di profumi si và verso il Monte Catria.

Come si fà a descrivere e trasmettere una sensazione  ? E’ difficile. Consiglio di provare prima come passeggero magari e poi come conducente.

Sono un minimalista. Sarà che ho l’animo del progettista e quindi amo e pratico la difficile arte della semplicità. Credo sia per questo che la mia moto è una Yamaha XT.
Leggera, robusta, facile e polivalente incarna perfettamente il concetto di cavallo del vecchio Far West un Mustang.

Di U.S. Department of the Interior – Wild Horse in Piceance, CC BY-SA 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=45410133

Niente di sofisticato un cilindro, un cuore, una sola chance.
Motore raffreddato ad aria, niente complicazioni.
Una ruota da 21 davanti che fà da timone, un leggero controsterzo e scende in curva.
44 cavalli sono pochi, ma la potenza viene sprigionata subito in modo docile accompagnata da un rassicurante borbottio da motozappa.

Così senza orpelli e sofisticate diavolerie ciò che rimane è una moto onesta che sa regalare pura emozione:

  1. quando in primavera ti trovi a sorpassare un mezzo rallentato dal traffico,  con un piccolo gesto l’XT accelera ubbidiente e ti teletrasporta oltre e ti sembra di avere i superpoteri.
  2. quando ti immergi tra le montagne e affronti placidamente come in un balletto curve e tornati mantenendo il giusto equilibrio tra forza centrifuga e gravità.
  3. quando lasci l’asfalto e trotterelli su lunghissime salite guidando in piedi e assaporando i panorami spettacolari tra Marche ed Umbria.

Sei solo, ma non sei mai veramente solo, hai fatto un percorso, ma non è chiaro chi abbia realmente guidato.
Sono momenti di piena solitudine e di libertà che una foto non riesce a restituire.

Così come nel Far West a poca distanza da un cowboy solitario c’era sempre un fedele cavallo, così nella modernità, durante le peregrinazioni di un motociclista, c’è sempre una moto al suo fianco e se guardi bene spesso quella moto è un’ XT.