La magia delle parole

Una foto che ho scattato durante una delle nostre passeggiate. Il bosco dischiude una vista panoramica sulla Vallesina. Massimo di spalle che contempla l’orizzonte.

Sbadalufo: numeroso, abbondante, in quantità enorme. Per esempio: “Mangiare a sbadalufo”. È un termine buffo e bizzarro che occasionalmente usava un mio caro amico, scomparso troppo presto. Credo sia un  termine dialettale della zona del fabrianese, ma non ne ho certezza. Non l’ho mai più sentito pronunciare. Rimane una parola dall’etimologia sconosciuta e misteriosa di cui non si trova traccia su Internet. È il mio personalissimo: ABRACADABRA. Una parola magica che mi fa rivivere la nostalgia di momenti spensierati e divertenti.

Il mio amico si chiamava Massimo, ma essendo Ingegnere era anche noto come l’Ing. Ci conoscemmo per motivi di lavoro. Aveva iniziato la sua carriera in IBM ed aveva sempre lavorato nel settore informatico. A livello professionale la stima fu immediata e reciproca e ben presto si sviluppò anche una sincera amicizia. I punti di contatto tra noi erano numerosi ed annullavano quasi venti anni di differenza d’età. Ci univa la passione per l’informatica, la lettura, la fisica, la curiosità, l’approccio ai problemi, la capacità di astrazione ed un certo senso dell’umorismo.

Per cinque anni lavorammo a stretto contatto, fu impegnativo, ma appagante. Spesso ci vedevamo a Fabriano e passavamo lunghe giornate nel suo ufficio in centro. Sempre gentile e disponibile, era un punto di riferimento insostituibile per tutti i suoi collaboratori che gli volevano molto bene. Per questa sua generosità veniva spesso risucchiato suo malgrado, in un vortice di impegni, telefonate ed interruzioni varie che gli impedivano di concentrarsi come avrebbe voluto. Fu in uno di questi momenti caotici che mi disse: “Allora Andrea. Quello che dovevamo cosare lo abbiamo cosato, adesso coso…” io risi e non potei che dirmi d’accordo con questa perla di astrazione.  

Entrare nel suo ufficio significava perdersi in un via vai di persone e voci che si accavallavano: un caos affascinante e divertente. Era lì che si consumavano le epiche schermaglie con i creativi. Lui recitava cantilenando: “Bisogna ricordare all’Art Director, che il Web è quadrato, non è curvo…” e la collega che per tutta risposta recitava: “Ricorda Massimo, che essere Ingegnere non è un sintomo, ma una diagnosi…”. Già, perché spesso i creativi facevano leggiadri voli pindarici, ma poi era lui che doveva dare forma e sostanza a quelle idee: un lavoro per niente facile. In fondo però questo è l’animo del nostro mestiere di progettisti, l’arte di trovare ogni volta quel delicato equilibrio tra astrazione e pragmatismo.

Quando lo conobbi aveva abbandonato le sigarette per la pipa e ciò, unito alla passione per il gioco del bridge, gli donava un fascino tipicamente inglese. Aveva sempre le mani occupate a maneggiare uno degli attrezzi che serviva ad ufficiare quel complicato rituale: il tabacco, lo scovolino e l’accendino. Così spesso capitava che nella confusione del momento, si dimenticasse ora l’uno ora l’altro, in giro per le scrivanie sotto fogli pieni di appunti.
La sua indole riflessiva e le sue pause nel formulare le frasi, si accordavano con i gesti lenti e pazienti che erano necessari per arrivare a produrre il primo sbuffo di fumo azzurrognolo. Ricordo anche il mio quaderno degli appunti che, aperto a distanza di tempo, rimandava ancora un sentore dall’aroma speziato del suo tabacco. Nella mia mente, lo rivedo ancora quando, verso ora di pranzo, mi diceva: “Dai, andiamoci a mangià na cosa…” accompagnando le parole ad un gesto con la testa. Così sgusciavamo fuori dall’ufficio dileguandoci. Percorrevamo strette viuzze in stile medievale per poi sbucare improvvisamente nella piazza principale di fronte alla fontana: uno spettacolo unico. La pausa pranzo era la nostra bolla protettiva. Un non luogo. Uno spazio tempo in cui niente e nessuno interrompeva le nostre chiacchiere.

Quando le nostre vite professionali si divisero, il nostro legame si distillò diventando pura amicizia. Quando ci incontravamo era solo per il piacere intellettuale che ne scaturiva. Facevamo le nostre lunghe passeggiate in montagna, immergendoci nella natura, ma sempre persi nei nostri ragionamenti tra informatica e vita privata, accompagnati dal suo cane Pepe. Nel silenzio del bosco rievocavamo aneddoti e storie della nostra vita con reciproco divertimento. Senza rendercene conto avevamo inventato una versione estesa della nostra pausa pranzo. Era un po’ come essere sulla Luna ad ammirare la Terra, in quei luoghi riuscivamo a guardare alle vicende della vita in modo lucido e razionale. Non potrò mai dimenticare quando mi consigliò di guardare il video di Alessandro Barbero (detto il Prof.) su Caporetto. Fu per me una scoperta entusiasmante e solo ora colgo l’aspetto buffo di questa storia: l’Ing. mi fece scoprire il Prof. . 

Il tempo che abbiamo trascorso insieme mi ha arricchito umanamente e professionalmente. Custodisco con cura quei momenti felici e preziosi ed ogni volta che voglio riportarli alla memoria mi basta pronunciare la parola magica: SBADALUFO!

Breve inganno

Imponente il monte si erge di fronte a me occupando l’intero campo visivo. 

La luce del pomeriggio ne illumina i prati di un delicato verde pastello e lo rende un gigante buono la cui presenza è benevola e rassicurante.

Assorto in contemplazione del panorama, la mia attenzione viene distratta da forme oscure e minacciose che si muovono silenziose come fantasmi e che al loro passaggio rubano la vivacità dei colori del declivio, ma è un inganno che dura solo un attimo. 

Alzo lo sguardo e vedo bianche e soffici nuvole che veleggiano in cielo e si divertono a giocare alle ombre cinesi con il sole. 

La torta

Il giorno del mio compleanno mi concedo un giro in moto in solitaria e vado a Elcito per immergermi nel silenzio, tra l’azzurro del cielo e il verde delle montagne.

Un altro buon motivo per andare li è per salutare Roberta e Nicola che gestiscono “Il Cantuccio”. Loro sono due ragazzi di San Severino che con tigna tutta marchigiana tengono aperto il loro punto di ristoro in un luogo difficile, quasi come fosse un’oasi nel deserto. Sono sempre sorridenti ed il loro accento maceratese li rende irresistibilmente simpatici.

L’altro giorno dopo aver mangiato un’ottima crescia chiedo a Roberta: “Che dolcetti hai?” e lei: “Oggi c’ho la torta col pistacchio, l’ho fatta io con la farina di nocciole e la crema al pistacchio è tando bona.” 

“Allora bisogna che l’assaggio.” 

Roberta mi passa la fetta di torta e poi rivolta a Nicola: “Amò, n’ho mangiata già na fetta, se ne mangio n’artra non ce famo a ppari!” 

Mangio la torta: squisita.

Due giorni dopo torno “Al Cantuccio” sempre in moto, ma insieme ad alcuni amici. Dopo aver ordinato dico a Roberta: “Vedo che la torta è sparita, vuol dire che è piaciuta.” 

Roberta soddisfatta: “Eh si.” 

Nicola la sfotte: “Gerto ch’è finida, se l’ha magnata tutta issa!”

Così questo luogo magico, crocevia di persone e dialetti mi ha donato ancora una volta una piccola buffa storia che merita di essere scritta e ricordata.

La lezione del bosco

Sabato scorso decido di tornare a vedere una cascata molto suggestiva.
La prima volta ci andai ad agosto di due anni fa in una giornata molto calda. Trovai senza fatica la località e lasciata la moto mi avviai a piedi per il sentiero, seguendo le indicazioni trovate sul web. Ad un certo punto sbagliai direzione ed imboccai un deviazione a destra scendendo una ripida discesa. Una volta resomi conto dell’errore risalire fu molto faticoso ma raggiunsi la meta e ne valse la pena.

L’altro giorno la giornata era fresca. Prima di partire mi documento nuovamente sul tragitto e parto con la moto. Una volta sul posto mando un messaggio a mia moglie per informarla dove sono, perché la prudenza non è mai troppa. Mi incammino. Nella parte iniziale trovo i riferimenti previsti: la sbarra e più avanti la madonnina. Rassicurato, procedo per il sentiero con il mio bias mentale: “Non andare mai a destra”. Trovo varie deviazioni ma, fedele al mio mantra, prendo sempre a sinistra. Il bosco in questo periodo è rigoglioso e colorato, i crochi lilla spuntano del terreno e i fiori gialli del maggiociondolo dondolano pigri. Sono solo e nell’aria quieta echeggiano i cinguettii degli uccellini, un’atmosfera magica.
Il sentiero sale e a tratti si fa ripido. Non lo ricordavo così impegnativo, mi dico che la memoria può giocare brutti scherzi e vado avanti tenace. In una salita trovo uno strato di foglie secche che forma un cuscino cedevole di dieci centimetri, mai visto su questo sentiero, deve essersi formato nel tempo. Procedo sapendo di dover incontrare una fonte d’acqua, ma non la vedo ancora e mi sembra di avere fatto parecchia strada. Il sentiero per lo più è immerso nell’ombra e quando si apre per brevi tratti vedo il monte che mi sovrasta imponente. La rete dati cellulare, alle pendici di questo massiccio, è scarsa e non riesco ad avviare Google Maps quindi posso solo sperare di essere sul sentiero giusto.

Ad un certo punto il sentiero termina nel canalone sassoso di un torrente in secca. In una frazione di secondo mi passano per la testa tutta una serie di pensieri: “Chi ha spostato la cascata ? Non è possibile che il torrente sia in secca. Più in basso sento rumore d’acqua. Voglio parlare con il direttore!!”
La parte razionale del mio cervello ha presto la meglio su quella più antica ed istintiva e prendo immediatamente coscienza di aver sbagliato percorso. La cascata non è secca, lo so perché ho visto recenti filmati sui social. Posso solo ipotizzare che questo sentiero viaggi troppo alto sul fianco della montagna, per questo non ho intercettato il salto d’acqua. Commento tra me e me che certo qualche indicazione in più, lungo il percorso sarebbe stata utile. Armato di pazienza torno indietro ed al primo bivio e prendo a destra. Questo sentiero corre più basso, forse è quello giusto. Mi inoltro e poco dopo noto che il sentiero è devastato da frane, alberi caduti ed erba alta, tutto ciò mi fa pensare che anche questa deviazione sia errata. Torno indietro nuovamente, ma a questo punto faccio delle riflessioni. Fino a lì ho consumato parecchie energie e per tornare devo affrontare due salite ripide.
Rinunciare sarebbe un peccato, ma anche trovando la strada giusta, sarò poi in grado di fare l’intero percorso a ritroso ? Le cose belle richiedono fatica ed impegno, ma l’energia è una risorsa limitata, devo valutare bene quale sia il mio punto di non ritorno.
Torno indietro fino alla successiva deviazione. Non mi posso permettere una terza esplorazione con esito negativo. Mi fermo a prendere fiato all’incrocio, alzo un po’ gli occhi e lo vedo.
Un piccolo cartello quadrato rosso con una freccia che indica “Cascata”: che idiota. In Toscana avrebbero detto “Maremma maiala! Un’llo visto!”.

A questo punto non ho dubbi, la “tigna” prevale sulla stanchezza. Seguo il sentiero sicuro di essere nel giusto. Faccio un bel tratto di strada con almeno altre due discese ripide che si aggiungono al percorso che dovrò fare al ritorno, ma ormai pazienza. Sento il rumore dell’acqua sono vicino. Dopo un po’ infatti arrivo alla cascata e la sua vista mi ripaga di tutte le fatiche.
Nessuna frivola esultanza. Rimango in silenzio a contemplare quello spettacolo mentre il fragore dell’acqua riempie l’aria.
Una breve sosta per bere e poi riparto, perché le salite mi attendono e non voglio farle aspettare. Le salite come previsto si fanno sentire, però con passo lento costante le supero una dopo l’altra. E’ incredibile la strada che si riesce a fare a piedi nonostante la stanchezza. La discesa finale per arrivare al paesino è gioia pura. Adesso sono felice, ho raggiunto l’obiettivo.

A questo punto sono d’obbligo alcune riflessioni.
La prima esperienza negativa ha generato una distorsione mentale che mi ha indotto nuovamente fuoristrada, mi viene da dire che a volte: sbagliando si sbaglia.
La convinzione di essere sulla strada giusta mi ha impedito di valutare correttamente alcuni segnali tra cui proprio i cartelli: l’eccesso di focalizzazione mi ha impedito di cogliere segnali utili. E dire che questa è una vecchia lezione che pensavo di aver appreso.
Nonostante tutto ad un certo punto la realtà ha preso il sopravvento sulle mie false convinzioni ed ho adottato un approccio più razionale al problema.
Per raggiungere un obiettivo la motivazione è fondamentale, ma non basta, servono le risorse.
Le risorse sono limitate ed è importante tenerle sotto controllo. A volte fallire è meglio che insistere. Non importa quanto siano solide le tue convinzioni, se trovi evidenze che dicono il contrario devi essere pronto a cambiare idea. Non importa quanta strada hai fatto, se hai sbagliato direzione la prima cosa da fare è tornare indietro, proseguire non farebbe altro che peggiorare l’errore.
A questo punto spero solo di avere imparato la lezione e magari la terza volta sarà quella buona.

Strani fenomeni quantistici

Le antenne del Monte Nerone

Salire al Monte Nerone in moto non mi ha mai entusiasmato. La strada per le antenne termina in uno spiazzo circolare asfaltato su cui incombono minacciose le antenne dei ripetitori.
Nonostante si goda di uno spettacolare panorama non ho mai sentito quella magia che cerco quando vado in montagna: una sorta di naturale armonia.
Ho sempre sospettato che il mio fosse un pregiudizio dettato dalla scarsa conoscenza del luogo. Per questo negli ultimi anni ho cominciato ad esplorare meglio questo monte che è uno dei nostri “giganti”.

A maggio 2020 in una domenica mattina soleggiata ma con vento da nord, partii alla volta del Nerone. Nel salire incrociai diverse persone in bici. Non pratico più questo sport, ma mi sono cimentato da giovane ed ho molto rispetto per lo sforzo a cui si sottopongono. Quel giorno a pochi chilometri dalla cima sorpassai una ciclista e proseguì tra i tornanti.
Ebbi l’impressione che la strada non finisse mai e mentre salivo le raffiche di vento erano sempre più insistenti. Arrivato in cima mi accolse un vento freddo e teso che mi indusse a togliere velocemente il disturbo.

Panorama dal Monte Nerone verso est

Nel discendere incrociai nuovamente la ciclista ancora intenta a salire. Complice la bassa velocità e la ridotta carreggiata, le nostre vite per un istante si sfiorarono al rallentatore in direzioni contrarie. Volli tributarle la mia massima stima salutandola con un cenno del capo.
Lei mi risposte educatamente, ma colsi nel suo viso un’espressione di rimprovero che mi mise a disagio. Così provai ad indovinare i suoi pensieri:
“Ma Bravo! Hai conquistato la tua cima e sei già di ritorno.
Io invece devo ancora arrivare alla meta. Ricordati che non c’è alcun onore nel conquistare una vetta senza fatica e sudore.
Certo il fatto che siamo qui in questo istante in questo mondo dice molto di noi, ma il modo in cui siamo qui è molto diverso. Talmente diverso da renderci due particelle vicine che quasi si toccano, ma al contempo lontane anni luce tra loro, agli estremi opposti della galassia.”

Il Nerone mi lasciò ancora una volta l’amaro in bocca, come di una vittoria rubata.
Con il tempo ho proseguito l’esplorazione delle sue pendici e delle zone circostanti muovendomi a piedi lungo i suoi sentieri.
Così ho avuto modo di scoprire luoghi fatati a cui ora sono molto affezionato.
La mia è una paziente danza di corteggiamento appena iniziata.

Monte Morcia

Salita al massiccio del Monte Catria e Acuto con la moto per sfuggire al caldo, passando per Buonconsiglio.
Breve passeggiata sul Monte Morcia in compagnia di mosche cavalline fastidiose, per il resto stupendo.

In futuro le autorità per sensibilizzare la popolazione all’uso consapevole dell’energia elettrica potrebbero decidere di rinominarlo Monte “Smorcia”.

Suggestioni

In lontananza Elcito frazione di San Severino (MC).
Un piccolo paesino immerso tra le montagne della Riserva Naturale Regionale del Monte San Vicino e del Monte Canfaito

L’estate scorsa in uno dei miei giri solitari in moto sono stato ad Elcito.
Durante la sosta rituale a “Ristoro il Cantuccio” ho partecipato ad uno scambio di battute surreale, ma molto suggestivo, con altri biker di Civitanova Marche:
“Aò m’ete portato a Elcito su in montagna. Bello pe carità, ma qui non ce sta còsa!”
“Daje su non te lamentà. Chiaro, voi mette Citanò! A Citanò ce sta lu mare. D’estate è pieno de gente!”
“A dì la verità anche qui a Elcito na volta ce stava lu mare: tando tempo fa!”
“Co lu riscaldamento globale, basta avè pazienza, vedrai che rtorna!”

Se amate la montagna i panorami ed il silenzio dovete visitare Elcito e non dimenticate di assaggiare la fantastica pizza di montagna del Cantuccio.