AIgor

Nel periodo di riposo natalizio ho approfittato per fare la conoscenza di NotebookLM di Google. Si tratta di uno strumento di intelligenza artificiale gratuito (basta avere un account Google per accedere) che consente di costruire una o più “intelligenze esperte”, ciascuna basata su fonti informative fornite da noi. Per gioco ho creato AIgor, un’intelligenza che risponde a domande sul film “Frankenstein junior” del 1974 diretto da Mel Brooks.


L’uso dello strumento è molto semplice.
Si comincia creando un nuovo Notebook (un quadernone di appunti) e si inseriscono le fonti informative. Io ho selezionate alcune risorse del web in cui si parla del film.

Le fonti possono essere di varia natura: pagina Web, video YouTube, file o del semplice testo. Nel caso di video ed audio l’elemento informativo che sarà utilizzato è la trascrizione testuale dell’audio. Le informazioni delle fonti possono essere anche in inglese. Nella versione gratuita le fonti sono limitate a 50.

A questo punto possiamo porre domande alla nostra intelligenza, che sa tutto sul nostro film preferito. Per farlo, usiamo la classica chat testuale scrivendo le domande in linguaggio naturale in lingua italiana, dietro le quinte c’è Google Gemini.

La prima domanda che gli faccio è “Chi è Elisabeth?”

Elizabeth è la fidanzata del dottor Frederick Frankenstein. È un personaggio che appare in diversi momenti del film e ha un ruolo significativo nella trama.

Ecco alcuni dettagli su di lei:

  • Fidanzata di Frederick: Elizabeth è la fidanzata di Frederick, il protagonista della storia. La loro relazione è caratterizzata da un umorismo particolare. All’inizio del film, si salutano alla stazione in modo affettuoso, ma con una vena comica. Elizabeth, preoccupata per il suo aspetto, chiede a Frederick di non baciarla sulle labbra per via del rossetto e si raccomanda che il suo vestito di taffetà non si sgualcisca.
  • Arrivo in Transilvania: Elizabeth fa una visita inaspettata a Frederick in Transilvania. Il suo arrivo crea una serie di situazioni comiche, tra cui un malinteso con Igor, l’assistente del dottore, e un incontro con Inga, l’altra assistente.
  • Sedotta dalla Creatura: Dopo essere stata rapita dalla creatura di Frankenstein, Elizabeth si innamora di lui a causa della sua “disumana resistenza sessuale” e del suo “enorme pene”. Inizia anche a cantare “Sempre libera” dalla Traviata, o “A sweet Mystery of Life” da Naughty Marietta nella versione originale, per esprimere la sua passione per la creatura.
  • Matrimonio con la Creatura: Nel finale del film, Elizabeth sposa la creatura, che nel frattempo è diventata erudita e sofisticata. Durante il matrimonio Elizabeth dice al mostro “Sei incorreggibile”.
  • Interpretazione: Elizabeth è interpretata da Madeline Kahn. La sua performance è descritta come comica ed esilarante.
  • Dialoghi: I dialoghi di Elizabeth sono caratterizzati da scambi rapidi e pungenti, spesso con sfumature sessuali. Per esempio, in una scena saluta Frederick dicendo “Taffetà caro”, riferendosi al suo vestito.
  • Trasformazione: Il personaggio di Elizabeth subisce una trasformazione durante il film. Inizialmente è una donna di città, elegante e preoccupata per il suo aspetto. Successivamente, diventa una donna appassionata e innamorata della creatura, cantando ed esprimendo la sua sensualità.

In sintesi, Elizabeth è un personaggio femminile chiave in “Frankenstein Junior”, con un ruolo comico e un arco narrativo che la porta a trasformarsi e innamorarsi di una creatura, con un finale inaspettato.

Altra domanda “Se dico taffetà?”

Se si dice “Taffetà” in riferimento a Frankenstein Junior, si fa riferimento a un particolare scambio di battute tra Elizabeth e il dottor Frederick Frankenstein.

  • Il contesto della battuta: Elizabeth, la fidanzata di Frederick, pronuncia la frase “Taffetà, caro” in due momenti distinti, entrambi prima della partenza di Frederick per la Transilvania.
    • La prima volta, lo dice dopo che Frederick l’ha salutata con affetto, e lei, preoccupata per il suo aspetto e per il suo vestito di taffetà, lo corregge dicendo di non baciarla sulle labbra per via del rossetto.
    • La seconda volta, la pronuncia sempre in riferimento al vestito, preoccupata che si sgualcisca prima di un evento mondano.
  • Significato: La frase “Taffetà, caro” sottolinea l’attenzione di Elizabeth per i dettagli e il suo attaccamento all’apparenza. Questo dettaglio di abbigliamento evidenzia il suo carattere un po’ frivolo e superficiale all’inizio del film, prima della sua trasformazione.
  • Uso nella versione italiana: La battuta è stata mantenuta nella versione italiana del film, diventando una delle frasi iconiche del personaggio di Elizabeth.
  • Riferimento alla scena: La frase è un riferimento diretto al vestito di Elizabeth, che è realizzato in taffetà, un tessuto noto per sgualcirsi facilmente. La sua preoccupazione per il vestito, in un momento in cui ci si aspetterebbe un addio più emotivo, aggiunge un tocco di umorismo alla scena.
  • Personaggio di Elizabeth: La battuta “Taffetà, caro” contribuisce a definire il personaggio di Elizabeth come una donna elegante, un po’ snob e preoccupata per il suo aspetto. La sua trasformazione successiva, quando si innamora della creatura, rende ancora più comico questo suo attaccamento iniziale all’apparenza.

In sintesi, se si dice “Taffetà” si evoca immediatamente il personaggio di Elizabeth, la sua ossessione per l’abbigliamento e l’umorismo che caratterizza la sua interazione con Frederick all’inizio del film.

Proseguendo nell’esplorazione dello strumento, nella sezione “Studio” troviamo altre funzionalità interessanti:

  • La guida allo studio
  • Domande frequenti
  • Documento di briefing
  • Sequenza temporale
  • Riassunto audio

Quest’ultimo è piuttosto impressionante, perché consente di generare un podcast a due voci che narrano una sintesi del materiale fornito. La lingua del podcast è l’inglese, ma usando la funzione di personalizzazione e specificando la frase: “Il podcast deve essere in lingua italiana. Evita di inserire parole in lingua inglese” è possibile ottenere l’audio in lingua italiana.

Valutate da voi il risultato finale:

NotebookLM mi ha colpito perché nel suo utilizzo, rispecchia finalmente il tipico modus operandi di chi vuole approfondire un argomento. Questo lo rende un prezioso strumento di supporto allo studio sia in ambito scolastico sia professionale. Quasi dimenticavo, ciascun Notebook può essere condiviso con altri utenti che abbiano un account Google.

Per semplificare il popolamento delle fonti vi consiglio un’extension per Google Chrome “NotebookLM Web Importer”, premendo un solo pulsante potrete immediatamente scegliere il notebook a cui aggiungere l’attuale indirizzo del browser.

In definitiva uno strumento molto utile e semplice da usare, ma solo per chi abbia ancora voglia di studiare ed usare il proprio cervello Normal o ABnormal che sia.

A presto ; )



HR d’altri tempi

Image by MythologyArt from Pixabay

Dopo aver visto la serie “The house of the Dragon”, ho tratto qualche interessante riflessione.
Dunque per diventare cavaliere di drago è semplice.
Funziona così. Il candidato si presenta fiducioso di fronte alla bestia gigantesca. Quella gli si avvicina minacciosa e lo annusa per bene. Se gli piace è assunto, altrimenti lo arrostisce vivo sul posto.

Senza dubbio un sistema di selezione del personale molto efficiente.
Nessune incertezza o lungaggine.
Nessuna inutile frase ipocrita del tipo: “Le faremo sapere”.
Nessuna ulteriore possibilità per la serie: “Ritenta, sarai più fortunato”.
In questo caso un no è per sempre.

Un altro giro di giOstra

Image by Frank from Pixabay

Recentemente si è concluso il 3° ciclo di incontri del “Laboratorio di scrittura creativa e lettura espressiva” di Ostra (AN), una bella iniziativa ideata e condotta da Paolo Pirani. In ciascuna “lezione” alcuni esercizi a tempo da svolgere in aula e di solito un tema da sviluppare a casa. Il bilancio è ancora una volta molto positivo, perché i nostri piacevoli incontri hanno prodotto narrazioni stupefacenti e suggestive. Io stesso ho fatto tesoro dei numerosi stimoli raccolti strada facendo e ne ho tratto ispirazione per scrivere brani che a mio avviso funzionano.
A primavera prossima il ciclo si chiuderà ufficialmente con una sessione di lettura in pubblico in cui ciascuno sceglierà uno dei suoi componimenti.

Nel frattempo, riporto qui uno degli esercizi che ho svolto e che ha prodotto due buoni racconti a mio avviso. L’esercizio prevedeva di scegliere una poesia o un testo teatrale e su quella base creare una o più variazioni. Io ho scelto il testo dello spettacolo “Il racconto del Vajont” di Marco Paolini e Gabriele Vacis, in particolare le pagine 26 e 27 in cui viene tratteggiata la figura della giornalista e scrittrice Tina Merlin. Ex staffetta partigiana durante la seconda guerra mondiale, ha seguito la costruzione della diga fin dall’inizio denunciandone i rischi, andando sul posto e dando voce, con i suoi articoli, ai montanari di Erto e Casso. Il suo sforzo sarà vano e, dopo la tragedia della frana del 9 ottobre 1963, scriverà il libro “Sulla pelle viva” che prossimamente leggerò.
Ho visto più volte lo spettacolo di Paolini ed ogni volta ho i brividi. Ho scelto il frammento su cui lavorare a caso, ma non completamente. In quelle due pagine si parla dell’esperienza di andare in montagna, quindi è un tema che mi è caro. Avrei dovuto creare delle variazioni, ma più che altro mi sono lasciato ispirare liberamente e sono giunto a produrre due racconti brevi.

Ricordo

Immagine creata con Night Cafè Studio

Quando avevo otto anni, in autunno, mia nonna mi portò in montagna nella valle del Vajont. Ci alzammo che era ancora buio e faceva freddo. Partimmo a piedi da Erto e salimmo per un ripido sentiero. A me la montagna non è mai piaciuta, ma mia nonna ci teneva tanto e io la rispettavo. La salita non finiva più, non mi lamentai e continuai a camminare in silenzio. Mi stupì a pensare che, per l’età che aveva, sembrava animata da un’energia prodigiosa. Arrivammo dopo circa due ore in cima che albeggiava. Io mi sedetti sulle rocce per riposare e rifocillarmi. Lei se ne stava lì in piedi, muta, sfidando il vento gelido, con lo sguardo rivolto alle cime illuminate dai primi raggi del sole. Non so cosa stesse pensando, ma sembrava serena, in pace con il mondo. Poi sentimmo un verso acuto, lei alzò lo sguardo verso un falco che volteggiava nel cielo. Socchiuse gli occhi mentre sul suo volto compariva un sorriso enigmatico. In quel momento il suo viso sembrò ringiovanire.
Dopo la sua scomparsa, quando ero già grande, lessi i suoi libri e suoi articoli. Intrecciando quelle fonti ai miei ricordi ho potuto penetrare il suo mistero e credo di aver colto lo spirito guerriero che abitava in quella donna.
Allora, sono tornato in montagna, da solo. Ho ripercorso lo stesso sentiero ed una volta in cima, lei mi ha parlato.

Note

Ho trasfigurato la giornalista in una figura quasi sciamanica. Mi sono chiesto come la potesse vedere un’ipotetico nipote. Volevo indagare il problema della trasmissione di un credo di una passione da una generazioni all’altra.
La parola e la memoria possono aiutare, ma la consapevolezza vera può essere conquistata solo per propria volontà, compiendo un percorso.

Favola

Image by StockSnap from Pixabay

C’era una volta una ragazza che durante la seconda guerra mondiale aiutava i partigiani facendo la staffetta. Non aveva alcun super potere, se ne andava su e giù da sola per le montagne, su sentieri impervi con il rischio di essere presa dal nemico. Era un compito difficile, pericoloso, ma lei era coraggiosa e sentiva di lottare contro il male. Amava la montagna, perché dopo aver scarpinato per arrivare fin lassù, quando la valle spariva coperta dalle nuvole, la guerra per un momento cessava di esistere. C’era solo silenzio, il cielo limpido e le belle vette rocciose tutto intorno. In quei momenti il suo sguardo arrivava a vedere lontano fino ad intravedere un futuro migliore.
La guerra finì e quella ragazza diventò una giornalista, sempre in lotta contro ciò che considerava ingiusto. Cominciò fin da subito a seguire la vicenda controversa della costruzione della diga del Vajont. Cercò in tutti i modi di mettere in guardia l’opinione pubblica dai potenziali rischi, dando voce agli abitanti della zona, ma fu tutto inutile. Il male quella volta ebbe la meglio, ma non si diede per vinta. Capì che era chiamata ancora a dare un contributo, perché era intimamente legata a quelle persone e a quei luoghi. Così scrisse un libro in cui raccontava la vicenda dal punto di vista degli abitanti della montagna. Narrò quella dolorosa vicenda al mondo, affinché tutti sapessero e nulla del genere potesse più accadere.

Note

In questo caso ho mitizzato la giornalista facendone un’eroina. La protagonista di una favola in cui anche il singolo può dare un contributo e fare la differenza.

Sparring Partner

Image by StockSnap from Pixabay

Qualche tempo fa prendo coraggio e consiglio la canzone “Sparring Partner” di Paolo Conte ad un collega di trenta anni. La reazione non si fa attendere: “Ma che roba è ?”. Gli dico: “E’ poesia in musica” e lui: “Ma di cosa parla?”. Provo a spiegargli cosa credo di avere capito, ma non lo convinco. In effetti non mi sono mai soffermato troppo sul significato di questa canzone. Questa cosa mi fa riflettere: è veramente così importante che una canzone abbia un senso?

La bellezza spesso è indecifrabile. Di fronte ad un’opera d’arte avvertiamo le sensazioni che essa induce in noi, il suo effetto trasformativo, ma raramente riusciamo a svelarne i meccanismi. Le canzoni di Paolo Conte per me hanno questo fascino. La musica del piano si amalgama con un testo criptico dal significato sfuggente, ma nell’insieme evocativo. Le parole sono quasi un’estensione delle note, non sempre hanno un significato, ma contribuiscono a creare una suggestione. Un incantesimo, parole dal significato enigmatico, ma capaci di stimolare, in chi le ascolta, l’immaginazione.

Canzone “Sparring Partner” di Paolo Conte

Testo “Sparring partner” di Paolo Conte

È un macaco senza storia
Dice lei di lui

Che gli manca la memoria
In fondo ai guanti bui

Ma il suo sguardo è una veranda
Tempo al tempo e lo vedrai
Che si addentra nella giungla
No, non incontrarlo mai

Ho guardato in fondo al gioco
Tutto qui, ma sai

Sono un vecchio sparring partner
E non l’ho visto mai

Una calma più tigrata
Più segreta di così

Prendi il primo pullmann, via
Tutto il reso è già poesia

Avrà più di quarant’anni
E certi applausi ormai

Son dovuti per amore
Non incontrarlo mai

Stava lì nel suo sorriso
A guardar passare i tram
Vecchia pista da elefanti
Stesa sopra al macadàm

Con altri occhi

Foto tratta da Facebook

23 Dicembre 2024, sto scrollando Facebook quando mi capita di vedere questa foto. La prima cosa che mi viene in mente è la mandibola spalancata dello squalo di Spielberg, incagliato nel ghiacco polare. La sagoma scura e i denti scintillanti. Ma qualcosa non torna: i lampioni, la neve. Osservo meglio: è un presepe!

Il mio naturalmente è un abbaglio creativo. Non credo che qualcuno abbia volutamente costruire un presepe all’interno della bocca di uno squalo, sarebbe assurdo. Oppure no?

Potrebbe rappresentare la società del consumo che sta divorando una tradizioni millenaria.

Forse quelle fauci affamate siamo noi che abbiamo inghiottito il significato del Natale insieme al pandoro e al torrone.

Oppure quella mandibola è il rischio di un conflitto nucleare che incombe su di noi ignari ed inconsapevoli, assuefatti alla pace e storditi dal benessere.

Ancora una volta una foto dimostra di non avere un significato univoco. Il trucco è semplice, bisogna provare a guardare il mondo con occhi diversi, solo così possiamo far emergere nuovi significati.

Sperando che quelle fauci siano misericordiose e non si chiudano su di noi, Buon Natale.

La scrittura è pazzia

Image by Andreas Decker from Pixabay

Recentemente, parlando con un’amica appassionata di scrittura, le ho detto scherzando: “La scrittura è pazzia”.

Come spesso accade, le cose dette per divertimento tendono a svelare verità più profonde. Forse perché le battute ci spingono ad oltrepassare certi limiti entrando senza volerlo nel territorio sconfinato della creatività.
Questo fatto mi ha indotto a riflettere ancora una volta sulla scrittura.

Scrivere è un atto creativo non comune, quasi bizzarro. In effetti chi scrive è un creatore di storie, perciò sperimenta la vertigine di essere una divinità perché decide lo sviluppo degli eventi ed il destino dei suoi personaggi. Ha facoltà di viaggiare nel tempo e nello spazio e può arrivare a sovvertire la storia stessa, per esempio essere Napoleone e vincere a Waterloo.

La scrittura viene paragonata alla modellazione della creta ma, utilizzando come materia prima idee e concetti, gode del vantaggio di essere del tutto priva di vincoli fisici. Questo la rende illimitata ed un potere del genere rasenta la follia pura. La guerra viene definita come espressione della creatività distruttrice, la scrittura al contrario può essere considerata l’espressione della creatività costruttrice, perché generatrice di universi. Difatti, nonostante la famosa frase: “Ne uccide più la penna che la spada”, quando qualcuno perisce in un racconto si tratta solo di finzione narrativa.

Da qualche tempo faccio parte di un gruppo di appassionati di scrittura. Ci riuniamo periodicamente e, sotto la guida del nostro direttore, che ci fornisce spunti e suggestioni, proviamo a costruire piccole storie. Il nostro è un Laboratorio di Scrittura Creativa, abbreviato L.S.C.. La sigla ricorda un famoso acido psichedelico chissà, forse la nostra fervida immaginazione è il risultato dell’assunzione di questa fantomatica sostanza che stimola la creatività senza avere altri effetti collaterali.

In fondo si scrive anche per dare un senso altro alla realtà che viviamo. Un tentativo di evadere da questo mondo, costruendone uno alternativo. Anche la follia è una sorta di fuga dalla realtà.
Quindi si, la scrittura è pazzia. Ma tutto sommato, tra le varie forme di pazzia tra cui scegliere, è quella che preferisco.

Esplorando il mondo

Un futuristico monolite nero

Scrivo con una certa regolarità da alcuni anni e quando l’ispirazione bussa alla mia porta l’accolgo sempre con il massimo rispetto, cercando di onorarla dandole forma scritta.

Credo che chi scrive, all’inizio lo faccia soprattutto per sé, perché ne sente l’esigenza e perciò lo farebbe anche se non ci fosse nessuno a leggerlo. Superata questa fase iniziale però, avere dei lettori ed essere apprezzati è importante, perché contribuisce a dare valore a quell’atto e ne alimenta la fiamma. Praticare la scrittura, nel tempo mi ha indotto più volte ad interrogarmi sulle dinamiche che si instaurano tra chi scrive e chi legge e con mia sorpresa continuano ad emergere aspetti affascinanti.

Lo scrittore, nell’atto di condividere con il mondo le sue invenzioni, crea contenuti e li irradia nell’etere come fossero onde radio, senza avere certezza di chi capterà quel segnale.
La maggior parte delle volte quell’onda si disperde nello spazio senza produrre effetti evidenti, ma qualche volta viene raccolta produce un effetto e rimbalza sotto forma di feedback, creando un eco di ritorno. Questa immagine mi hanno indotto a pensare lo scrittore come fosse un radar. I suoi scritti sono un sistema per scandagliare il mondo circostante nel tentativo di mettersi in contatto con persone sintonizzate sulla stessa frequenza. Chi scrive quindi, non lo fa per la ricerca di consenso e di apprezzamento, ma perché va alla ricerca di persone con una sensibilità affine, con cui condividere esperienze. È una sorta di esplorazione dell’animo umano, alla ricerca di propri simili, con cui creare connessioni di valore.

A seguire alcuni elementi che probabilmente hanno influenzato il filo dei miei pensieri:

  • La canzone “Is there anybody out there?” dell’album “The Wall” dei Pink Floyd. Un grido straziante nel tentativo di superare la solitudine interiore.
  • Il monolite nero del racconto “La sentinella” di Artur C. Clarke: un manufatto alieno capace di innescare l’evoluzione della specie umana e di valutarne i progressi.
  • Il programma scientifico spaziale Voyager che nel 1977 ha lanciato due sonde nello spazio per esplorare il sistema solare con la speranza di entrare in contatto con altre forme di vita .

Ispirazione

Image by gerardo from Pixabay

Chi scrive è mosso da un’energia misteriosa chiamata ispirazione.
Non sappiamo da dove arrivi, né perché si manifesti e non riusciamo a controllarla. È come un vento che si alza improvviso ed impetuoso per poi tacere inaspettatamente. Quando soffia, cambia repentino la sua direzione. Nessuno è in grado di invocarlo o di prevederne l’arrivo ed è pazzia pensare di fermarlo.

Lo scrittore è come un marinaio solitario a bordo di un guscio di noce, perso nel mezzo dell’oceano. Spesso la vela giace pigra ed inanimata e la sua barca si lascia trasportare dalla corrente. Con il mare in bonaccia l’estro creativo è sospeso, quasi un’arte dimenticata.

A volte mentre il caldo è soffocante un alito di vento gli accarezza la pelle sudata. Allora alza gli occhi e vede la vela allegra rianimarsi. Il vento rinforza, ed in breve tempo la barca guizza e acquista velocità. La direzione? Non importa, dopo quell’immobilità, ciò che conta è fendere le onde. Felice si abbandona all’ebbrezza del momento e sorride compiaciuto, manovrando la barra del timone. È solo un’ingenua illusione: il vento lo sta portando dove vuole. Lui può solo cercare di utilizzarlo al meglio, ma non avendo una bussola per orientarsi é inutile preoccuparsi della direzione.
In questi momenti un’energia speciale lo pervade. Un qualunque elemento, di norma insignificante, riesce a mettere in moto un processo creativo che produce un pensiero. Quel pensiero si materializza in una sequenza di parole che esprimono un significato e godono di una certa un’armonia musicale. L’unica cosa è assecondare questo vento. Ma dove lo sta conducendo? Nessuno lo sa, ma in fondo questo è un fatto irrilevante.
Forse sta addirittura girando a vuoto, ma che importa. Il suo è un viaggio che in realtà si fa da fermo, dentro sé stesso. Di certo cavalcare quel vento lo fa sentire più vivo.

Image by Joe from Pixabay

A volte dura un attimo e non riesce ad afferrarlo. Altre volte, lo travolge con la sua furia e non può domarlo. Lo brama e lo teme al tempo stesso, perché è un’energia potente di cui avere rispetto. Una forza che reclama costanza ed ostinazione, perché se non esci in mare ogni giorno, quel vento, quando si alzerà, non ti troverà pronto. E allora sarà solo un vento qualunque, uno di quelli che scompiglia le fronde degli alberi, poetico, ma del tutto inutile perché non darà vita ad un’opera.

In fondo, chi scrive è come se si trovasse sempre in mezzo a quel mare, ad attendere paziente e speranzoso che si alzi ancora quel vento magico che si chiama ispirazione.

A pesca di rondini

Questa foto nasce con l’intento di cogliere un panorama suggestivo. Mentre ero in procinto di scattare ho pensato:
“Mannaggia, quel filo mi rovina l’inquadratura, ma scatto lo stesso”.
Poi il caso ha voluto che nella scena entrassero le rondini. Così, qualche giorno dopo, quando ho rivisto la foto, il suo significato surreale mi è apparso chiaro.
Quel filo che pende nel vuoto, mi ha subito fatto pensare alla lenza di una canna di qualcuno che pesca rondini nel cielo-mare di primavera, usando un lampione cittadino come una lampara. Se tutto ciò vi sembra bislacco, ricordate che siamo a Corinaldo, dove tutto è possibile.

Da questa esperienza ho tratto un’importante lezione sulla fotografia, un’immagine può assumere a posteriori un significato del tutto inaspettato ed indipendente dalla volontà di chi ha scattato la foto.

Il cavo “esplosivo”

Immagine creata con https://creator.nightcafe.studio/studio

Se mi metto a fare il conto degli anni trascorsi dalla mia prima esperienza lavorativa scopro che se ne sono andati quasi 30 anni: era una vita fa.
C’erano Windows 3.1 e Visual Basic 3.0, ma Internet non era ancora tra noi.
Per mettere in comunicazione un pc con i dispositivi elettronici si usavano i cavi seriali. Quando me ne serviva uno andavo nel reparto di elettronica prendevo: un cavo, due connettori a vaschetta il saldatore e me lo costruivo. Era una prassi diffusa, ormai ascrivibile tra le abilità da vecchia scuola.
L’alternativa era di “prendere in prestito” un cavo già pronto di qualcun altro.

Un giorno ero presso la postazione di un collega, sulla scrivania era appoggiato un cavo seriale grigio. Notai che per tutta la sua lunghezza c’erano una serie di piccoli caratteri blue, scritti a penna da mano umana con pazienza certosina. Incuriosito, cominciai a scorrere con lo sguardo il messaggio nascosto in quelle lettere minute che recitava in tono di ammonimento:
“QUESTO CAVO FUNZIONA SOLO SE USATO DAL PROPRIETARIO, IN TUTTI GLI ALTRI CASI ESPLODE”.
Trovai quell’idea geniale e divertente. Il proprietario ridendo mi disse: “Ti piace, aspetta.”. Prese il cavo in corrispondenza della scritta, lo tese e lo ruoto delicatamente di 180 gradi per tutta la sua lunghezza.
Sull’altro lato c’era un altro messaggio che proseguiva e concludeva il primo:
“E MO, FREGATEVE PURE QUESTO!”.

Mi piace pensare che quel sistema antifurto così atipico alla fine abbia funzionato.