Un altro giro di giOstra

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Recentemente si è concluso il 3° ciclo di incontri del “Laboratorio di scrittura creativa e lettura espressiva” di Ostra (AN), una bella iniziativa ideata e condotta da Paolo Pirani. In ciascuna “lezione” alcuni esercizi a tempo da svolgere in aula e di solito un tema da sviluppare a casa. Il bilancio è ancora una volta molto positivo, perché i nostri piacevoli incontri hanno prodotto narrazioni stupefacenti e suggestive. Io stesso ho fatto tesoro dei numerosi stimoli raccolti strada facendo e ne ho tratto ispirazione per scrivere brani che a mio avviso funzionano.
A primavera prossima il ciclo si chiuderà ufficialmente con una sessione di lettura in pubblico in cui ciascuno sceglierà uno dei suoi componimenti.

Nel frattempo, riporto qui uno degli esercizi che ho svolto e che ha prodotto due buoni racconti a mio avviso. L’esercizio prevedeva di scegliere una poesia o un testo teatrale e su quella base creare una o più variazioni. Io ho scelto il testo dello spettacolo “Il racconto del Vajont” di Marco Paolini e Gabriele Vacis, in particolare le pagine 26 e 27 in cui viene tratteggiata la figura della giornalista e scrittrice Tina Merlin. Ex staffetta partigiana durante la seconda guerra mondiale, ha seguito la costruzione della diga fin dall’inizio denunciandone i rischi, andando sul posto e dando voce, con i suoi articoli, ai montanari di Erto e Casso. Il suo sforzo sarà vano e, dopo la tragedia della frana del 9 ottobre 1963, scriverà il libro “Sulla pelle viva” che prossimamente leggerò.
Ho visto più volte lo spettacolo di Paolini ed ogni volta ho i brividi. Ho scelto il frammento su cui lavorare a caso, ma non completamente. In quelle due pagine si parla dell’esperienza di andare in montagna, quindi è un tema che mi è caro. Avrei dovuto creare delle variazioni, ma più che altro mi sono lasciato ispirare liberamente e sono giunto a produrre due racconti brevi.

Ricordo

Immagine creata con Night Cafè Studio

Quando avevo otto anni, in autunno, mia nonna mi portò in montagna nella valle del Vajont. Ci alzammo che era ancora buio e faceva freddo. Partimmo a piedi da Erto e salimmo per un ripido sentiero. A me la montagna non è mai piaciuta, ma mia nonna ci teneva tanto e io la rispettavo. La salita non finiva più, non mi lamentai e continuai a camminare in silenzio. Mi stupì a pensare che, per l’età che aveva, sembrava animata da un’energia prodigiosa. Arrivammo dopo circa due ore in cima che albeggiava. Io mi sedetti sulle rocce per riposare e rifocillarmi. Lei se ne stava lì in piedi, muta, sfidando il vento gelido, con lo sguardo rivolto alle cime illuminate dai primi raggi del sole. Non so cosa stesse pensando, ma sembrava serena, in pace con il mondo. Poi sentimmo un verso acuto, lei alzò lo sguardo verso un falco che volteggiava nel cielo. Socchiuse gli occhi mentre sul suo volto compariva un sorriso enigmatico. In quel momento il suo viso sembrò ringiovanire.
Dopo la sua scomparsa, quando ero già grande, lessi i suoi libri e suoi articoli. Intrecciando quelle fonti ai miei ricordi ho potuto penetrare il suo mistero e credo di aver colto lo spirito guerriero che abitava in quella donna.
Allora, sono tornato in montagna, da solo. Ho ripercorso lo stesso sentiero ed una volta in cima, lei mi ha parlato.

Note

Ho trasfigurato la giornalista in una figura quasi sciamanica. Mi sono chiesto come la potesse vedere un’ipotetico nipote. Volevo indagare il problema della trasmissione di un credo di una passione da una generazioni all’altra.
La parola e la memoria possono aiutare, ma la consapevolezza vera può essere conquistata solo per propria volontà, compiendo un percorso.

Favola

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C’era una volta una ragazza che durante la seconda guerra mondiale aiutava i partigiani facendo la staffetta. Non aveva alcun super potere, se ne andava su e giù da sola per le montagne, su sentieri impervi con il rischio di essere presa dal nemico. Era un compito difficile, pericoloso, ma lei era coraggiosa e sentiva di lottare contro il male. Amava la montagna, perché dopo aver scarpinato per arrivare fin lassù, quando la valle spariva coperta dalle nuvole, la guerra per un momento cessava di esistere. C’era solo silenzio, il cielo limpido e le belle vette rocciose tutto intorno. In quei momenti il suo sguardo arrivava a vedere lontano fino ad intravedere un futuro migliore.
La guerra finì e quella ragazza diventò una giornalista, sempre in lotta contro ciò che considerava ingiusto. Cominciò fin da subito a seguire la vicenda controversa della costruzione della diga del Vajont. Cercò in tutti i modi di mettere in guardia l’opinione pubblica dai potenziali rischi, dando voce agli abitanti della zona, ma fu tutto inutile. Il male quella volta ebbe la meglio, ma non si diede per vinta. Capì che era chiamata ancora a dare un contributo, perché era intimamente legata a quelle persone e a quei luoghi. Così scrisse un libro in cui raccontava la vicenda dal punto di vista degli abitanti della montagna. Narrò quella dolorosa vicenda al mondo, affinché tutti sapessero e nulla del genere potesse più accadere.

Note

In questo caso ho mitizzato la giornalista facendone un’eroina. La protagonista di una favola in cui anche il singolo può dare un contributo e fare la differenza.

Sparring Partner

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Qualche tempo fa prendo coraggio e consiglio la canzone “Sparring Partner” di Paolo Conte ad un collega di trenta anni. La reazione non si fa attendere: “Ma che roba è ?”. Gli dico: “E’ poesia in musica” e lui: “Ma di cosa parla?”. Provo a spiegargli cosa credo di avere capito, ma non lo convinco. In effetti non mi sono mai soffermato troppo sul significato di questa canzone. Questa cosa mi fa riflettere: è veramente così importante che una canzone abbia un senso?

La bellezza spesso è indecifrabile. Di fronte ad un’opera d’arte avvertiamo le sensazioni che essa induce in noi, il suo effetto trasformativo, ma raramente riusciamo a svelarne i meccanismi. Le canzoni di Paolo Conte per me hanno questo fascino. La musica del piano si amalgama con un testo criptico dal significato sfuggente, ma nell’insieme evocativo. Le parole sono quasi un’estensione delle note, non sempre hanno un significato, ma contribuiscono a creare una suggestione. Un incantesimo, parole dal significato enigmatico, ma capaci di stimolare, in chi le ascolta, l’immaginazione.

Canzone “Sparring Partner” di Paolo Conte

Testo “Sparring partner” di Paolo Conte

È un macaco senza storia
Dice lei di lui

Che gli manca la memoria
In fondo ai guanti bui

Ma il suo sguardo è una veranda
Tempo al tempo e lo vedrai
Che si addentra nella giungla
No, non incontrarlo mai

Ho guardato in fondo al gioco
Tutto qui, ma sai

Sono un vecchio sparring partner
E non l’ho visto mai

Una calma più tigrata
Più segreta di così

Prendi il primo pullmann, via
Tutto il reso è già poesia

Avrà più di quarant’anni
E certi applausi ormai

Son dovuti per amore
Non incontrarlo mai

Stava lì nel suo sorriso
A guardar passare i tram
Vecchia pista da elefanti
Stesa sopra al macadàm

Con altri occhi

Foto tratta da Facebook

23 Dicembre 2024, sto scrollando Facebook quando mi capita di vedere questa foto. La prima cosa che mi viene in mente è la mandibola spalancata dello squalo di Spielberg, incagliato nel ghiacco polare. La sagoma scura e i denti scintillanti. Ma qualcosa non torna: i lampioni, la neve. Osservo meglio: è un presepe!

Il mio naturalmente è un abbaglio creativo. Non credo che qualcuno abbia volutamente costruire un presepe all’interno della bocca di uno squalo, sarebbe assurdo. Oppure no?

Potrebbe rappresentare la società del consumo che sta divorando una tradizioni millenaria.

Forse quelle fauci affamate siamo noi che abbiamo inghiottito il significato del Natale insieme al pandoro e al torrone.

Oppure quella mandibola è il rischio di un conflitto nucleare che incombe su di noi ignari ed inconsapevoli, assuefatti alla pace e storditi dal benessere.

Ancora una volta una foto dimostra di non avere un significato univoco. Il trucco è semplice, bisogna provare a guardare il mondo con occhi diversi, solo così possiamo far emergere nuovi significati.

Sperando che quelle fauci siano misericordiose e non si chiudano su di noi, Buon Natale.

La scrittura è pazzia

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Recentemente, parlando con un’amica appassionata di scrittura, le ho detto scherzando: “La scrittura è pazzia”.

Come spesso accade, le cose dette per divertimento tendono a svelare verità più profonde. Forse perché le battute ci spingono ad oltrepassare certi limiti entrando senza volerlo nel territorio sconfinato della creatività.
Questo fatto mi ha indotto a riflettere ancora una volta sulla scrittura.

Scrivere è un atto creativo non comune, quasi bizzarro. In effetti chi scrive è un creatore di storie, perciò sperimenta la vertigine di essere una divinità perché decide lo sviluppo degli eventi ed il destino dei suoi personaggi. Ha facoltà di viaggiare nel tempo e nello spazio e può arrivare a sovvertire la storia stessa, per esempio essere Napoleone e vincere a Waterloo.

La scrittura viene paragonata alla modellazione della creta ma, utilizzando come materia prima idee e concetti, gode del vantaggio di essere del tutto priva di vincoli fisici. Questo la rende illimitata ed un potere del genere rasenta la follia pura. La guerra viene definita come espressione della creatività distruttrice, la scrittura al contrario può essere considerata l’espressione della creatività costruttrice, perché generatrice di universi. Difatti, nonostante la famosa frase: “Ne uccide più la penna che la spada”, quando qualcuno perisce in un racconto si tratta solo di finzione narrativa.

Da qualche tempo faccio parte di un gruppo di appassionati di scrittura. Ci riuniamo periodicamente e, sotto la guida del nostro direttore, che ci fornisce spunti e suggestioni, proviamo a costruire piccole storie. Il nostro è un Laboratorio di Scrittura Creativa, abbreviato L.S.C.. La sigla ricorda un famoso acido psichedelico chissà, forse la nostra fervida immaginazione è il risultato dell’assunzione di questa fantomatica sostanza che stimola la creatività senza avere altri effetti collaterali.

In fondo si scrive anche per dare un senso altro alla realtà che viviamo. Un tentativo di evadere da questo mondo, costruendone uno alternativo. Anche la follia è una sorta di fuga dalla realtà.
Quindi si, la scrittura è pazzia. Ma tutto sommato, tra le varie forme di pazzia tra cui scegliere, è quella che preferisco.

Esplorando il mondo

Un futuristico monolite nero

Scrivo con una certa regolarità da alcuni anni e quando l’ispirazione bussa alla mia porta l’accolgo sempre con il massimo rispetto, cercando di onorarla dandole forma scritta.

Credo che chi scrive, all’inizio lo faccia soprattutto per sé, perché ne sente l’esigenza e perciò lo farebbe anche se non ci fosse nessuno a leggerlo. Superata questa fase iniziale però, avere dei lettori ed essere apprezzati è importante, perché contribuisce a dare valore a quell’atto e ne alimenta la fiamma. Praticare la scrittura, nel tempo mi ha indotto più volte ad interrogarmi sulle dinamiche che si instaurano tra chi scrive e chi legge e con mia sorpresa continuano ad emergere aspetti affascinanti.

Lo scrittore, nell’atto di condividere con il mondo le sue invenzioni, crea contenuti e li irradia nell’etere come fossero onde radio, senza avere certezza di chi capterà quel segnale.
La maggior parte delle volte quell’onda si disperde nello spazio senza produrre effetti evidenti, ma qualche volta viene raccolta produce un effetto e rimbalza sotto forma di feedback, creando un eco di ritorno. Questa immagine mi hanno indotto a pensare lo scrittore come fosse un radar. I suoi scritti sono un sistema per scandagliare il mondo circostante nel tentativo di mettersi in contatto con persone sintonizzate sulla stessa frequenza. Chi scrive quindi, non lo fa per la ricerca di consenso e di apprezzamento, ma perché va alla ricerca di persone con una sensibilità affine, con cui condividere esperienze. È una sorta di esplorazione dell’animo umano, alla ricerca di propri simili, con cui creare connessioni di valore.

A seguire alcuni elementi che probabilmente hanno influenzato il filo dei miei pensieri:

  • La canzone “Is there anybody out there?” dell’album “The Wall” dei Pink Floyd. Un grido straziante nel tentativo di superare la solitudine interiore.
  • Il monolite nero del racconto “La sentinella” di Artur C. Clarke: un manufatto alieno capace di innescare l’evoluzione della specie umana e di valutarne i progressi.
  • Il programma scientifico spaziale Voyager che nel 1977 ha lanciato due sonde nello spazio per esplorare il sistema solare con la speranza di entrare in contatto con altre forme di vita .