Le tracce del tempo

A Corinaldo in fondo al “Viale Dietro le Monache” si trova una balconata che guarda ad ovest. Da lì si gode di un panorama suggestivo che spazia dalle colline circostanti fino al gruppo del Monte Catria, questo luogo è noto come il “Murello”.

Corinaldo – Balconata panoramica detta il “Murello”
Gruppo del Monte Catria lambito da nuvole passeggere

Durante le mie passeggiate mi fermo spesso a godere di questa vista. Quei monti li conosco bene, sono salito spesso sulla loro vetta. Loro, docili e pazienti, mi lasciano credere di averli conquistati, ma è un’illusione.
Quando mi trovo in questo luogo vivo una magia particolare, perché ho l’opportunità di osservare tracce di epoche remote e percepire lo scorrere del tempo.

La prima traccia del tempo è “Porta Nova” che si trova di fronte al “Murello, è la principale via d’accesso al centro storico e risale all’epoca medievale.

Corinaldo – Porta Nova

La seconda traccia, meno evidente, sono le montagne stesse. Le immagino lì ad osservarci da sempre, ma in realtà non è così, anche loro hanno un’età, si sono formate circa sedici milioni di anni fa.

La terza traccia, più nascosta, la vedo abbassando lo sguardo sulla seduta in pietra del “Murello”, in un punto spicca la forma geometrica a spirale di un fossile di ammonite. Questo è l’ennesimo segno di un tempo ancora più antico, circa 250 milioni di anni, quando questi luoghi erano un ambiente marino tropicale.

Fossile di ammonite sulla seduta in pietra del “Murello”

Non so di che tipo di pietra si tratti, ma mi piace pensare che quel blocco di pietra venga direttamente dalle montagne che mi stanno di fronte e che sia stato sottratto dall’uomo al suo ambiente d’origine quasi fosse un trofeo. Un atto di arroganza che ha, come unico effetto, quello di renderci consapevoli della nostra insignificanza di fronte ad eventi che precedono l’esistenza stessa della nostra specie.

Recentemente ho pubblicato un ebook ( La natura il tempo e le stelle: Raccolta di poesie in metrica haiku ) che contiene un verso sulla lotta epica tra acqua e pietra:

Pazienza

Tanto tempo fa
acqua sfidò pietra, lei
rise, ma perse.

A prima vista l’acqua potrebbe sembrarne la protagonista, ma non è così. La capacità di erodere la pietra da parte dell’acqua è infinitesimale, ma questo potere viene amplificato dal tempo. È il tempo che rende possibile ciò che all’inizio sembrava solo ridicolo. Il tempo è il motore del cambiamento. Alcuni avvenimenti sono tangibili ai nostri occhi, altri sono lenti ed impercettibili e travalicano la nostra esistenza.
Per esempio un raggio di sole primaverile che ci scalda e che sparisce d’improvviso, perché coperto da una nuvola passeggera.
Oppure un mare tropicale che si prosciuga lentamente fino diventare un paesaggio fatto di montagne, colline e valli.

Riflettere sul tempo mi porta inevitabilmente ad interrogarmi sulla vita e sul suo significato.
Prendete un foglio bianco ed una penna, disegnate un punto e poi tracciate una linea retta verso destra, fino alla fine del foglio. A livello geometrico questa è una rappresentazione schematica della nostra vita: una semiretta.
Un segno diritto tracciato su carta che parte da un punto e corre idealmente all’infinito. Già idealmente.
Forse la sfida suprema a cui ciascuno è chiamato, è rendere la propria vita più ricca e complessa di una semplice linea nera su un foglio bianco.

La durata del ciclo di vita di un essere umano rispetto a quella di una montagna è davvero poca cosa. La nostra esistenza sulla linea del tempo nella scala delle ere geologiche è solo un minuscolo punto. Il tempo che abbiamo a disposizione è prezioso, quando sarà terminato lasceremo dei segni o tutto si ridurrà solo ad un semplice segmento? Io mi ribello a questa idea, abbiamo una grande unica occasione e non dobbiamo sprecarla.

Anni fa, idealmente ho deciso di spezzare quella linea nera in tanti piccoli pezzettini, ho cominciato a lavorarli uno ad uno, scaldandoli piegandoli e torcendoli fino a farli diventare lettere dell’alfabeto. Li sto avvicinando tra loro, pazientemente giorno dopo giorno, fino a formare parole frasi e concetti scritti. Alla fine ho scoperto che scrivere, oltre a rendere la mia vita più interessante, incidentalmente contribuisce a creare una traccia del mio vissuto e ciò mi aiuta ed esorcizzare, almeno in parte, lo spettro del tempo che passa.

A questo punto auguro a ciascuno di trovare un modo tutto personale per arricchire la propria vita e lasciare un segno.
Se poi vi capitasse di visitare Corinaldo, non dimenticate di passare al “Murello”, chissà magari ci si incontra.

Riferimenti

FonteIndirizzo
Portale turistico città di Corinalohttps://www.corinaldoturismo.it/
Come nasce una montagna: la storia del Monte Catria e dell’Appennino Umbro – Marchigianohttps://www.ingv.it/newsletter-ingv-n-8-dicembre-2019-anno-xiii/come-nasce-una-montagna-la-storia-del-monte-catria-e-dell-appennino-umbro-marchigiano
Riferimenti

Carte in regola

Scartoffie

Qualche anno fa, mentre stavo lavorando con un mio collega anche lui software developer, aprii una parentesi e gli feci una delle mie solite tirate sul Clean Code.
Lui mi ascoltò pazientemente e poi se ne uscì con una frase che a distanza di anni ancora mi tormenta:
“Vedi Andrea, in definitiva, dopo dieci anni di lavoro, ho capito che l’importante è avere le carte in regola.”.

Io rimasi scioccato ed incredulo che qualcuno potesse arrivare a fare una tale affermazione. Dopo qualche esitazione gli dissi gentilmente:
“Non pensi invece che se ci impegnassimo a realizzare software funzionante, avremmo già risolto l’ottanta percento dei nostri problemi e potremmo fare a meno di tante inutili scartoffie? “

Questo episodio mi fece riflettere parecchio. Presi consapevolezza che quel contesto organizzativo era talmente tossico che nel tempo era riuscito ad azzerare completamente il buonsenso di quella persona. La mentalità dell’artigiano, quella che caratterizza i bravi software developer, era stata sostituita con quella di un freddo burocrate.

Il lavoro che facciamo è maledettamente difficile: forniamo soluzioni a problemi. Per fare ciò dobbiamo capire il problema scomporlo in parti più piccole e crearne un modello digitale. Il nostro è un lavoro intellettuale altamente creativo, in cui la passione gioca un ruolo importante.
Questa complessità molte persone non la percepiscono.
I primi a non capirla spesso siamo noi stessi developer, che di consegunza non ci sappiamo raccontare. Spostandosi a livelli gerarchici superiori la situazione non può certo migliorare tanto che, e a causa di un combinato disposto di ignoranza e malafede, siamo etichettati genericamente con sdegno come: “tecnici”. Agli albori dell’informatica qualcuno ha pensato che se il taylorismo aveva funzionato per la catena di montaggio, avrebbe funzionato anche per il software facendoci diventare gli operai del digitale, ma evidentemente non è così.

Finché l’AI non ci sostituirà del tutto, le aziende avranno bisogno di esseri umani che svolgano questo lavoro.
Il punto è che gli esseri umani sono organismi delicati, da trattare con cura, altrimenti si va incontro ad una serie di effetti collaterali: funzionano male, smettono di funzionare, si rompono o cambiano azienda.
Ho sperimentato sulla mia pelle che, per produrre software di qualità decente, è necessario un buon equilibrio psicofisico. L’azienda perciò avrebbe tutto l’interesse a creare è mantenere un clima di lavoro non tossico. Il problema è che per creare e mantenere un ambiente di lavoro sereno e collaborativo serve molto impegno. Bisogna operare avendo come obiettivo la sostenibilità del lavoro. Invece l’unico obiettivo sui cui tutti sono allineati è il budget trimestrale. Questa impostazione spesso induce a scelte miopi e impedisce di mantenere il focus sul core business: il software che è il risultato della conoscenza di dominio e delle persone.
In nome del budget si fanno guerre sante in cui il fine giustifica i mezzi senza considerare i danni collaterali.
Così prendonono vita i famosi progetti “bagno di sangue”, che richiedono eroici sacrifici e che alla fine contano un gran numero di “morti” e “feriti” tra i soldati.

Un team di software developer è un insieme di persone creative, come tale costituisce un delicato ecosistema di rapporti interpersonali, il cui buon funzionamento è garantito più dalla psicologia della comunicazione che dalle procedure. Se i componenti di un team sono mediamente motivati e riescono a lavorare in un clima sereno, non è necessario fare micro management, probabilmente il team si auto organizza.

Quel mio collega poi ebbe l’opportunità di cambiare ruolo. L’ho incontrato recentemente e l’ho trovato in ottima forma, sereno e ottimista.
Il sistema evidentemente non lo ha riprogrammato completamente, ne sono felice. Gli ho accennato quell’epico scambio di battute, ma lui neanche se lo ricordava!
A questo punto, non mi resta che augurare buone scartoffie a tutti.