Problem solver

“Sai, mio padre aveva un’officina di lavorazioni meccaniche. Io sono cresciuto lì dentro, ho respirato quell’atmosfera, quell’odore di grasso e di olio.
Mi ricordo che a volte, quando c’era da fare un pezzo particolare, capitava di non avere l’attrezzo giusto e allora… si fabbricava!
Per cui ho assorbito quella mentalità: non fermarsi mai di fronte agli ostacoli, inventare soluzioni, perseguire l’obiettivo sempre, con slancio.”

Questo è quanto mi ha raccontato un amico e collega in pausa pranzo.
E’ stata un’immagine che mi ha fulminato, perché descrive in poche semplici parole le radici in cui affonda un modo di pensare e di essere in cui mi ritrovo perfettamente, quella del problem solver.

I software developer sono degli artigiani del software e sono abituati ad affrontare problemi sempre diversi usando la creatività e l’esperienza per risolverli.
A dire il vero i contesti in cui una tale mentalità può essere forgiata ed allenata sono numerosi e diversi, ma cosa li accomuna ?
Gli elementi di base direi che sono questi:

  1. un problema da risolvere
  2. scarsità di risorse
  3. una profonda motivazione

A questo punto con delle adeguate conoscenze di base e una buona dose di creatività ci sono buone probabilità di risolvere il problema.

Interrogandomi sulla figura del problem solver in azienda sono emersi altri quesiti che ritengo interessanti:

  1. quanto sono preziose le persone con questa mentalità ?
    Io credo siano fondamentali, ma se la loro opera è continuamente richiesta c’è qualcosa che non va. O siamo in un mercato turbolento o abbiamo qualche problema a livello di strategia e pianificazione.
  2. Quanto è diffusa questa mentalità in azienda ?
    I problem solver sono sempre di meno, perchè sono frutto della vecchia scuola che sta scomparendo. Un senior di valore dovrebbe avere un approccio del genere. Un junior con questa mentalità è una rarità, ma se ne trovano.
  3. Come identificare i problem solver ?
    Parlando con le persone si può percepire un certo modo di ragionare, ma questa forma mentis si rivela in modo chiaro in azione sul campo.
  4. Questa mentalità è intrinseca o si può insegnare ?
    Il vissuto di una persona e la sua psicologia contano molto secondo me. Però se è vero che la creatività si può insegnare, direi che un’attenta selezione, un formazione specifica unite ad un’efficace affiancamento sul campo da parte di un senior dovrebbero dare buoni frutti.
  5. La cultura aziendale promuove o soffoca i problem solver ?
    Nelle organizzazione piramidali il problem solver con un dna di micro-imprenditore: agile, operativo e concreto di solito soffre. Spesso si trova a fare il suo lavoro, ostacolato da procedure, che riducono l’efficacia del suo operato.
    Nella aziende più piccole con strutture orizzontali la mentalità da problem solver è vitale per la sopravvivenza dell’organizzazione stessa.
  6. I ragazzi oggi hanno l’opportunità di sviluppare queste capacità di adattamento e di problem solving ?
    Ho seri dubbi in proposito, ma potrei avere una visione troppo parziale.

Il tema della capacità di fabbricare oggetti con le proprie mani mi ha fatto tornare alla mente un racconto di fantascienza di Philip K. Dick intitolato “Diffidate dalle imitazioni”.

In uno scenario post-atomico le città sono state rase al suolo e gli uomini sono radunati in piccoli gruppi. Ciascuna comunità sopravvive solo grazie al proprio alieno centauriano che ha il potere di duplicare gli oggetti. Con il passare degli anni però gli oggetti duplicati si disgregano e si polverizzano. Gli alieni invecchiando producono oggetti sempre meno fedeli agli originali e difettosi. In un mondo distrutto e con uomini che hanno perso qualunque capacità manuale, la morte imminente dell’alieno segnerà il destino della comunità.
Esiste però un barlume di speranza. Un uomo proveniente da un’altra comunità ha con se qualcosa che potrebbe cambiare lo scenario
…(segue spoiler)

Spoiler
L’uomo porta con sé una ciotola ed un rozzo bicchiere che ha intagliati nel legno e spiega ad un altro, ormai privo di speranza:
“Dobbiamo imparare nuovamente a realizzare gli oggetti con le nostre mani. Ci vorrà tempo prima di tornare a produrre oggetti complessi e di una certa qualità, ma abbiamo imboccato la strada giusta e ce la faremo.”

“Margin Call”

“Margin Call” è un film del 2011 scritto e diretto da J. C. Chandor.
Il contesto della storia è quello della crisi americana dei mutui subprime del 2008-2009.
Viene raccontata la vicenda di una banca d’investimento che scopre di detenere titoli tossici che rischiano di portarla al fallimento.
Dalla scoperta del problema, nell’arco di una notte , il management prende coscienza del problema e deve decidere come reagire l’indomani all’apertura del mercato azionario.
L’alternativa a fallire è vendere sottocosto i titoli, rischiando di generare una crisi nell’intero mercato azionario, con effetti devastanti su larga parte della popolazione.
Questa sarà l’unica via da intraprendere ed ognuno dovrà interpretare il proprio ruolo per quanto odioso possa essere.
Il capo dei venditori dovrà spingere, per un’ultima dannata volta, i suoi collaboratori a vendere come fossero dei kamikaze.
Dovranno vendere a prezzo di saldo ed in fretta, quanta più “droga” possibile ai propri clienti sapendo che sarà la dose fatale. L’amoralità del gesto è pari solo all’incentivo per il raggiungimento dell’obiettivo: 1 milione di dollari a testa.
La responsabile dell’ufficio Rischi (Demi Moore), pur avendo sollevato il problema, sarà licenziata per diventare il capro espiatorio da dare in pasto ai media. Poche le figure femminili nel film e tutte relegate a ruoli sociali minori, l’unica donna del management sarà scelta per essere sacrificata sull’altare dei media: altra divinità a cui rendere conto.

Il piano avrà successo, ma a che prezzo ? L’anima naturalmente.
L’alba del nuovo giorno infatti non è annunciatrice di alcuna rinascita. L’uomo, in questa corsa al denaro, ha perso completamente la sua umanità in modo irrimediabile.

Un film estremamente cinico e spietato in cui non c’è spazio per i sentimenti, il denaro ed il profitto sono gli unici elementi che muovono i personaggi sulla scena.

Un mondo strano quello della finanza, in cui i manager a tutti i livelli ammettono candidamente di non capirci nulla.

Paradossalmente, l’unico che capisce il rischio che stanno correndo è Peter Sullivan (Zachary Quinto), un ingegnere aerospaziale prestato alla finanza solo perché lo stipendio è significativamente più alto.
E’ lui che, per curiosità, approfondisce lo studio del suo ex-responsabile, licenziato il giorno stesso, ed arriva alla sconcertate conclusione.
Anche per lui però non ci sarà speranza di redenzione, sarà assunto nella nuova società e tutto lascia intendere che anche lui sarà fagocitato dal sistema.
Così, come il suo ex-capo, anche lui ha abbandonato il sogno di costruire razzi e ha votato la propria esistenza a far funzionare l’infernale macchina della finanza.

Sam Rogers (Kevin Spacey) è il capo della vendite. Un uomo che mostra scarsa empatia per i numerosi collaboratori licenziati la mattina del giorno stesso, ma è affranto per il proprio cane malato terminale di cancro.
Memorabile quando si oppone alla vendita dei titoli tossici: la regola base del commercio è la fiducia; se vendi oggi immondizia ad un cliente, domani non gli venderei più nulla, così stai distruggendo il tuo mercato.
Uscirà a pezzi da questa vicenda e disgustato al punto di provare a dimettersi, ma il suo bisogno di soldi lo costringerà a rimanere, anche lui è asservito al Dio denaro.
Piangerà, mettendo a nudo la sua umanità, solo di fronte alla morte del suo cane e lo andrà a seppellire nel giardino della casa della su ex-moglie.
Di fronte alla disperazione di Sam, ormai privo della lucidità dimostrata in questa giornata micidiale, l’ex-moglie terrà un comportamento estremamente composto e distaccato privo di compassione e lo lascerà solo.
Metaforicamente, l’uomo Sam piange per la perdita della sua anima, ma quando se ne rende conto è troppo tardi ed è solo. Nessuno può aiutarlo, d’altronde si è scavato la fossa con le sue mani.

Eric Dale (Stanley Tucci) ingegnere civile anche lui prestato alla finanza è colui che mette insieme i dati ed intuisce che qualcosa non va.
Uomo mite e di buonsenso, viene licenziato in modo freddo e asettico, senza la possibilità di completare un’importante analisi sua cui sta lavorando.
La sua è una delle poche figure che insieme a Sam si contrappone ad una schiera di replicanti senza cuore votati al denaro.
Toccante il suo monologo seduto sulle scale di casa di fronte al viale alberato in cui spiega ad un collega che all’inizio della carriera ha progettato un ponte.
Quest’opera negli anni ha fatto risparmiare alle persone molte ore della loro vita quindi è una cosa utile per la comunità e ciò lo rende orgoglioso; al contrario della finanza è un’essere senz’anima e privo di scopo.
Prima dello scadere della 24 ore, sarà richiamato in azienda forzosamente per evitare fughe di notizie ed anche lui, nonostante tutto, dovrà piegarsi al volere del Dio denaro.

Il film è denso di scene magnifiche recitate da un cast d’eccellenza.

L’ascensore

A valle della riunione con il capo i due manager con responsabilità sull’accaduto discutono della situazione, preoccupandosi esclusivamente della propria posizione e non degli effetti che ciò potrà avere sui risparmiatori.
Il colloquio avviene in ascensore mentre tra di loro è presente una donna delle pulizie, in servizio proprio a tarda ora come sempre. La signora discreta e silente rappresenta le persone comuni che conducono la loro vita semplice, inconsapevoli che delle divinità pasticcione ed egoiste stanno per distruggere la loro tranquilla esistenza.

Sul tetto del mondo

Nel buio della notte, sopra il tetto del palazzo quando Will dice a Sam e Seth “Ne ho viste di cose in questi anni che voi non potete immaginare…”, io ci ho visto una sottile citazione di Blade Runner, in cui Will assume il ruolo dell’androide Roy Batty a rimarcare la sua assenza di umanità.
E’ sempre lui che spiega il perverso circolo vizioso del denaro: più ne guadagni e più tendi a spenderne. E’ come un serpente che ti avvolge nelle sue spire e da cui non riesci ad uscire.

A cospetto del capo supremo

La riunione con il capo sceso dal cielo in elicottero è un momento di altissima tensione.
John Tuld (Jeremy Irons) che invita Sam ad illustrargli la situazione in modo semplice come se avesse di fronte un bambino è inquietante.
La realtà è che la finanza non può essere spiegata in modo semplice. E’ stata resa complessa ad arte per risultare oscura ai non iniziati.
La sua impenetrabilità giustifica l’esistenza di una schiera di sacerdoti che ne officiano il culto.