Il Duca Leto Atreides

[…] “Questo Duca era molto più preoccupato per gli uomini che per la Spezia. Ha rischiato la vita, e quella di suo figlio, per salvarli. […] Un simile capo potrebbe assicurarsi una lealtà fanatica. Sarebbe difficile sconfiggerlo.” Contro la sua volontà e contro ogni precedente giudizio, Kynes fu costretto ad ammettere dentro di sé: “Mi piace questo Duca.“

LIET KYNES, DUNE

Un estratto delle riflessioni di Liet Kynes, Planetologo Imperiale personaggio del romanzo “Dune” scritto da Frank Herbert.
Ho riletto recentemente questo libro a distanza di qualche anno.
Queste righe mi hanno colpito molto, perché emerge in modo chiaro e netto lo spessore dei personaggi e la natura profondamente introspettiva del testo.
Rappresentano una efficace sintesi del concetto di leader, ma a ben vedere contengono anche altri preziosi insegnamenti.
Le persone si giudicano in base alle azioni che compiono.
Le persone sagge, sulla base di fatti concreti, sono capaci di cambiare le proprie opinioni ed abbandonare i loro pregiudizi.

R&D con pragmatismo

R&D ?

Quando si parla di R&D (Research And Development) a me vengono in mente laboratori ben attrezzati in cui tecnici esperti svolgono il loro importante lavoro in un contesto sereno e senza vincoli cogenti di tempo e budget.
Ho il sospetto però tale visione spaventi molto i manager e contribuisca a rendere R&D un tabù.
Chissà, forse nell’immaginario collettivo questo acronimo richiama alla mente la sezione Q: quella che costruisce bizzarri congegni per James Bond.

L’idea mai espressa a parole, ma che emerge nei fatti, è che l’azienda non può permettersi di fare R&D.
Forse è l’effetto indotto da una cronica mancanza di lungimiranza che ci impedisce di riconoscere che in realtà l’innovazione è vitale.
Piuttosto dovremmo acquisire la consapevolezza che un’azienda non può permettersi di non fare R&D.

R&D: atto eroico

La difficoltà di riconoscere all’R&D l’importanza che ha, non significa che le aziende non innovino.
Le aziende innovano in modo poco organico e poco consapevole quindi poco efficiente.

Fare R&D in fondo significa dare fiducia a qualcuno e finanziarlo per raggiungere uno scopo, si tratta di agire con mentalità imprenditoriale e avere una certa attitudine al rischio.
Ciò a ben vedere avviene tutti i giorni in un’azienda.
Ogni progetto nel suo piccolo è una sfida imprenditoriale.
La differenza però è che il progetto è commissionato e finanziato dal cliente pertanto è per sua natura sensato.
Nel caso di R&D invece è necessario spiegare, argomentare, sostenere.
Esporsi per un’idea che solo potenzialmente avrà un ricavo nel futuro: ciò equivale ad un atto eroico da cui molti tendono a sottrarsi.
In certi ambienti stagnanti fare innovazione, corrisponde a creare delle increspature sulla superficie immobile dello status quo (o meglio “stagnus quo”) che si spandono in cerchi concentrici, disturbando i sonni tranquilli di chi vive subito sotto la superficie dell’acqua.   

In questo contesto si presentano situazioni paradossali.
Per esempio la richiesta alla “007” di un “orologio con laser incorporato” sarà considerata, perfettamente plausibile se viene dal cliente, invece sarà classificata come stramberia inutile e costosa, se proposta sotto forma di prototipo da un tecnico interno.
Non si ammazzano così anche le idee ?

Da R&D a R&A

In natura capita spesso che certi sistemi trovino da soli un equilibrio e credo ciò accada anche nelle aziende.
Se non ci sono ruoli precisi per la gestione di R&D cosa succede ?  Succede che coloro che sono impegnati operativamente nel core business dell’azienda nel loro lavoro quotidiano vivono i seguenti fenomeni:

  • individuano colli di bottiglia
  • intravedono possibili ottimizzazioni
  • raccolgono spunti dai clienti
  • rilevano carenza nell’usabilità di ciò che si produce
  • intuiscono ambiti di evoluzione del prodotto

Ciò succede perché, più si vola bassi, alla quota dell’utilizzatore finale e più si ha la possibilità di raccogliere dal campo feedback utili all’innovazione.
Il problema spesso è dare seguito a questi spunti trovando un budget che copra le attività di realizzazione.
A questo punto servono altri elementi:uno sponsor, la comunicazione efficace, del coraggio

L’assenza di una funzione aziendale che si occupa di R&D e che non sta a contatto con il campo è un bene perché spesso queste strutture si rivelano nel tempo dei mostri che si preoccupano di sopravvivere a se stessi piuttosto che produrre risultati.
Le buone idee in effetti sono ovunque all’interno di una organizzazione, pertanto è preferibile che arrivino da una platea più ampia possibile per poi essere canalizzate, censite e vagliate.

Per la mia esperienza raramente un’azienda può fare R&D, più realisticamente ciò che si può fare è Ricerca Applicata.

Nell’ambito di progetti finalizzati ad un cliente, è possibile individuare soluzioni che possano essere replicate in altri ambiti facendo economia di scala.

Un contesto favorevole 

La Ricerca Applicata chiaramente è una sfida più complessa della R&D pura.
Sono richieste particolari doti di equilibrio per scegliere il giusto compromesso tra astrazione e pragmatismo.
Le soluzioni ideate infatti debbono essere applicabili nel contesto richiesto, ma risultare riutilizzabili in altri ambiti.
Per fare ciò, rispettando i vincoli progettuali è necessario avere ottimi progettisti.
Creare un contesto favorevole che presenti delle “anse” in termini di tempo/budget che consentano un approccio ai problemi di più largo respiro.
C’ è bisogno di persone competenti creative e sensibili per individuare aree sui cui applicare tale strategia.
E’ necessario creare momenti di confronto per fare emergere le necessità applicative e i problemi ricorrenti che la comunità di sviluppatori/funzionali incontra.
E’ importante divulgare l’esito dei questa attività in modo tale che la comunità ne sia informata affinché nel disegno delle nuove soluzioni i prodotti della ricerca applicata possano essere usati.
Promuovere la contaminazione tra aree aziendali.
Sostenere e promuovere la formazione continua.
Abbandonare la mentalità del fallimento e del colpevole per abbracciare l’empirismo fatto di piccoli esperimenti utili a scartare ipotesi errate.
Promuovere nei fatti e nella sostanza sentimenti di cooperazione e fiducia a tutti i livelli affinche’ le persone si espongano senza timore di fallire.

“Grazie per tutto il tempo…”

Qualche tempo fa, superato un certo imbarazzo, ho inviato ad alcuni amici un mio breve racconto di fantascienza.
Dopo qualche tempo ciascuno mi ha fornito il suo feedback, generosamente positivo. Ciò naturalmente mi ha fatto molto piacere.
Il punto però non è questo.
Conosco la vita frenetica di queste persone e riflettendoci su, una verità mi ha colpito come un maglio: queste persone hanno avuto fiducia in me ed hanno investito un po’ del proprio prezioso tempo per leggerMi.
Di questo sono loro veramente grato.
Solo ora infatti colgo il patto non scritto che si instaura sempre tra chi scrive e chi legge.

Scrivere è un esperienza fortemente introspettiva, perché seguire il filo dei propri pensieri equivale a compiere un viaggio nel proprio io.
Scrivere è un salto quantico, perché significa dare una forma ai propri pensieri, fargli una foto che rimane e lascia una traccia di te nel tempo.
In un certo senso è come inviare un messaggio asincrono a qualcuno nel futuro, anche a se stessi al limite.
Ciò ha inoltre strani effetti collaterali perché con le proprie riflessioni, per quanto piccole ed insignificanti, è possibile alterare la visione del mondo di chi legge quindi per estensione alterare il futuro.

Chi legge, compie un vero e proprio atto di fiducia verso l’autore. Investe il proprio prezioso tempo addentrandosi in un mondo sconosciuto e lasciando che le parole scritte lo attraversino e lo trasformino, cambiandolo irrimediabilmente, per sempre.
Scrivere pertanto è una grande potere, da cui deriva una grande responsabilità.

In fondo la stessa magia avviene ogni giorno.
Ogni volta che abbiamo interazioni con altre persone, sperimentiamo una contaminazione continua e vicendevole, fatta di gesti e di parole scritte e non scritte.
Forse non ce ne rendiamo conto, ma abbiamo tutti un grande potere da gestire.

“Si puo’ fare!! “

Gene Wilder in “Frankenstein Junior” di Mel Brooks

Non so se nella vita o nel lavoro ti e’ mai capitato d’imbatterti in un problema particolarmente difficile o complesso a cui trovare una soluzione.

A me capita spesso e queste occasioni di solito le colgo come sfide intellettuali con me stesso.

Di solito entro in un tunnel, in cui, attutiti gli echi del mondo esterno, comincio ad analizzare i dati ed il contesto del problema.
Costruisco un modello mentale e faccio piccoli esperimenti concettuali per vedere se il modello regge.

Una volta individuata la soluzione più semplice la realizzo e faccio una prova sul campo poi se l’esito è positivo si pensa ai dettagli.

Credo che tutti i software developer adottino in modo più o meno cosciente un simile algoritmo che ha molto a che fare con il metodo scientifico.

Questo processo solitamente non è immediato.

Nel mio caso l’analisi del problema ha bisogno di un periodo di decantazione e per focalizzare il problema ci devo tornare più volte anche a distanza di tempo.

In certi casi la soluzione emerge da sola, magari di notte mentre mi rigiro nel letto, ma ci vuole tempo.
E’ come se la mente cercasse da sola una soluzione sepolta nel deserto, cercando di farla affiorare lentamente dalla sabbia, erodendo pazientemente le dune con leggere folate di vento.

Naturalmente ciò può essere molto frustrante.

Non a caso per chi opera in campo scientifico è fondamentale associare ad una spiccata immaginazione una robusta tenacia nella ricerca di conferme alle proprie ipotesi.

Non sempre si ha disposizione tutto il tempo necessario.

Perciò spesso, con spirito pragmatico, si adotta una soluzione temporanea e si rimanda una soluzione più elegante alla prossima occasione.

Nella ricerca della soluzione c è tutto il nostro io, con il bagaglio di conoscenza accumulato nel tempo, gli errori fatti e i successi compiuti.
E’ proprio questo patrimonio di esperienza che può influire in modo decisivo sui tempi di individuazione della soluzione.

Ciò che mi affascina di più, è il processo mentale di costruzione ed esclusione delle soluzioni alternative.
Usando l’immaginazione la mente crea dei micro universi alternativi e vede se funzionano.
E’ creatività allo stato puro, perché si plasmano idee e concetti prima della materia e ciò rende il processo molto efficiente.

E’ come se la conferma della correttezza di una teoria fosse una profezia che ci viene rivelata.
La mente crea un universo futuro e vi si proietta, lo osserva e si convince della sua consistenza.
Un vero e proprio atto di creazione a cui segue l’effettiva alterazione della materia: la mente plasma il mondo.

L’esclamazione del Dott. Frankenstein esprime in modo emblematico la magia del momento in cui la mente si convince che un pensiero può concretizzarsi nel mondo reale.

Il Teletrasporto esiste


Il teletrasporto dell’astronave Enterprise non esiste ancora.
La fisica quantistica si sta interrogando su questo affascinante fenomeno a livello di particelle, ma nulla di più.
Il COVID ci ha dimostrato che è si possono far viaggiare le idee piuttosto che i cervelli e puff! via le automobili.
Con le stampanti 3D anche la logistica sta lentamente cambiando, possiamo trasmettere dati e produrre oggetti nel posto in cui servono e puff! via anche le fabbriche e i trasporti.
Pensandoci bene però un sistema efficace ed economico per tele trasportarsi verso altri universi esiste già: i libri.

Chi ama leggere lo sa perfettamente. Aprire un libro ed immergersi nella sua lettura ha il potere di estraniarti totalmente dalla realtà in cui ti trovi.
Può farti dimenticare per un breve lasso di tempo ciò che sei, i tuoi problemi e proiettarti in luoghi sconosciuti o mai esistiti, fino a vivere letteralmente un’altra vita.

Un film per quanto bello non può compiere questa magia.
La sua multimedialità può travolgerti, ma non può stimolare la mente quanto può farlo un libro.
Guardando un film assisti passivo a ciò che il regista ha immaginato per te e tutto è sottoposto alla sua intermediazione, non c’è spazio per l’immaginazione.

Un libro è un’esperienza che vivi in prima persona nell’intimo della tua mente.
Leggendo, inevitabilmente, le parole si trasformano in immagini mentali, stai creando un tuo personalissimo film: sei il regista di te stesso.
La lettura di un libro pertanto ti arricchisce quasi al pari di un viaggio, perché se il libro è di qualità, alla fine in quei luoghi è come se ci fossi stato e quelle esperienze è quasi come se le avessi vissute.
In certi casi ti affezioni ai personaggi al punto tale che terminare la lettura di un libro è triste come salutare per sempre dei cari amici.

Per ironia della sorte, in un momento storico in cui abbiamo accesso illimitato e a basso costo a tutta la letteratura mondiale: non leggiamo più.

Io invece non ho perso l’abitudine, anzi appena posso mi teletrasporto.
E’ facilissimo, apro Kindle sullo smartphone, pronuncio la frase di rito:
“Signor Scott… energia!” e puff! in un attimo posso andare su Arrakis, Vigata, le Termopili o Waterloo.
E’ un fantastico super potere, con interessanti effetti collaterali: io ho sviluppato la totale invulnerabilità alle code.
Quando sono in attesa del medico o alle poste, in realtà è solo mio corpo che sta facendo la fila, la mente è altrove.