COVID-19

Primavera 2020, siamo in piena emergenza virus.

Stiamo reagendo, siamo fiduciosi, ma in realtà non sappiamo quale sarà l’esito di questa battaglia.

Questo sentimento di incertezza e di impotenza ci disorienta, perché è nuovo per la maggior parte di noi. Possiamo solo fare qualche riflessione. 

La globalizzazione ci ha reso fragili. Il sistema economico e produttivo degli stati e’ totalmente interconnesso quindi poco resiliente. Taleb  sostiene che le organizzazioni piccole sono più robuste ai cambiamenti. Paradossalmente per affrontare una pandemia dovremmo coordinarci a livello europeo o mondiale, ma non ci siamo.

Chi è preposto a tutelare la salute pubblica conosceva il rischio, ma non è stato proattivo. Cercare il colpevole in questa fase non è utile, farlo successivamente sarà etichettato come dietrologia, ma senza feedback non possiamo migliorare. 

Il copione si ripete: le cassandre hanno lanciato l’avvertimento, ma nessuno ha lavorato per fronteggiare un simile scenario, ed ora cerchiamo un eroe che risolva un guaio che non ci siamo preparati ad affrontare.

Dominiamo i dati, ma difettiamo a livello di azioni e comportamenti.

I più fortunati, non infetti e non impegnati in prima linea, devono stare a casa per evitare il contagio, ma non siamo abituati agli arresti domiciiari.

Il risveglio dal nostro “sonno digitale” e’ stato brusco ed inaspettato. Da un momento all’altro gli italiani sono in pericolo di vita, sensazione mai vissuta per chi è nato dopo la seconda guerra mondiale. La reclusione in casa propria può sembrare dura, ma è una esperienza ben diversa da chi è vissuto nei rifugi antiaerei durante i bombardamenti in tempo di guerra. 

Ne usciremo diversi? Credo di sì, almeno in parte.

Daremo un nuovo significato alla libertà di movimento.

Rivedremo le nostre priorità abbandonando le preoccupazioni per ciò che è futile. 

L’economia ne risentirà e sarà un problema, ma dopo, solo se resteremo in vita.

La prorita’ assoluta è sempre sopravvivere. 

Non rimandaremo più le cose a cui teniamo, perché la verità è che non abbiamo a disposizione un tempo infinito

Acquisiremo una consapevolezza nuova:  la rivoluzione digitale ci ha dato l’illusoria sensazione di poter fare tutto facilmente, ma rimaniamo degli esseri molto fragili e facciamo parte di un ecosistema delicato.

Stamattina in giardino con il traffico quasi azzerato, al di là della rete di recinzione, uno stormo di uccelli su una quercia. Il loro cinguettio riecheggiava prepotente per tutta la campagna, sembrava quasi la risata beffarda della natura a sottolineare  la sua supremazia. 

Non dovremmo avere bisogno di eroi

Durante il mio percorso lavorativo ho avuto il piacere di conoscere persone molto speciali che ricoprivano in azienda il ruolo dell’eroe.

Si tratta di persone brillanti, competenti e con un alto senso del dovere che, con la loro esperienza, anticipano i problemi, se ne fanno carico e li risolvono compiendo sforzi eccezionali. Per queste persone la parola “impossibile” non è mai stata scritta e fallire non è un’opzione contemplata. Lavorare con loro può essere difficile, ma anche entusiasmante. Ciò che a mio avviso rende veramente grandi queste persone è che portano il fardello sulle loro spalle e raggiungono la vetta con le proprie forze senza clamore. L’energia sprigionata da queste persone è percepibile nella passione che mettono nel fare il loro lavoro e ciò a mio avviso li rende dei leader naturali perchè sanno essere trascinanti.

Queste persone sono gemme preziose per le organizzazioni e per i team in cui operano.
Spesso però i valori che li caratterizzano: franchezza, trasparenza e coraggio confliggono con le logiche delle organizzazioni dove i manager sono impegnati a mantenere lo status quo e ai fatti antepongono le schermaglie politiche e verbali.
Ciò paradossalmente rende gli eroi al contempo utili, ma spinosi. A causa della loro abilita’ sul campo e della loro scarsa diplomazia, spesso queste persone sono relegate in ruoli intermedi in cui sono continuamente impegnati a spegnere incendi e sono esclusi dalle riunioni in cui vengono prese decisioni strategiche. Questa dinamica spesso priva l’organizzazione del prezioso punto di vista pragmatico di chi il business lo fa concretamente funzionare.

La presenza conclamata di eroi aziendali e la loro mancata valorizzazione ha ulteriori effetti collaterali indesiderati che spesso vengono ignorati.
Il punto è che se fare l’eroe è pericoloso faticoso, ma non offre alcun vantaggio materiale, si tratta di un modello non vincente che gli altri non seguiranno.
Chi non è un eroe e non ne subisce il fascino, non ha alcun buon motivo per emulare quel comportamento e farà il proprio dovere al minimo sindacale adottando la nota strategia “del fil de gas”. D’altro canto un eroe è tale a causa della sua natura e non per scelta, per cui se la natura degli individui è insopprimibile e il suo modo di essere non e’ premiante nel contesto in cui si trova, alla lunga si troverà costretto a fare l’eroe altrove.

In sintesi credo che un’organizzazione sana dovrebbe cercare di elevare tutti a livello di eroe, ma contemporaneamente dovrebbe strutturarsi per non averne bisogno mai, se non in casi veramente eccezionali.

Il principio di Peter

Il lavoro è un sistema per mantenere e possibilmente elevare il proprio benessere pertanto le persone, in modo del tutto naturale ambiscono ad una crescita economica.
Nel momento in cui i percorsi di crescita sono standardizzati, le persone, indipendentemente dalle proprie attitudini, cercheranno di percorrerli.

Nell’organizzazione colui che che sarà ritenuto adatto (non necessariamente meritevole) risalirà la scala gerarchica di gradino in gradino, ma si fermerà nel ruolo che gli è meno congeniale. Non essendo prevista una retrocessione, rimarrà bloccato in una situazione in cui esprime la propria massima incompetenza.

Il soggetto che incappa in questo fenomeno si godrà i benefici della posizione raggiunta, ma soffrirà sentendosi inadeguato. A questo punto, quasi avesse vinto immeritatamente il primo premio alla lotteria, comincerà a temere per la propria poltrona. In fondo quanto tempo potrà passare prima che qualcuno si accorga della sua incompetenza ? Questo pensiero lo indurrà ad arroccarsi sulla propria posizione alzando gli scudi per difenderla. Mantenere lo status quo diventerà il suo unico obiettivo. Rifuggire le innovazione sembrerà un buona strategia. Circondarsi di persone servili aumenterà le probabilità di far durare il più a lungo possibile questo piccolo regno ottuso.

L’idea di indurre una persona a ricoprire un ruolo che non le si confà è dannosa per la persona e per l’organizzazione.
Chi si trova in questa situazione e non è disposto a venire a patti con se stesso, pur di sfuggire alla frustrazione potrebbe preferire cercare un’alternativa.

Per evitare tutto ciò, una possibile soluzione sarebbe sganciare la retribuzione dal ruolo, creando dei percorsi di crescita legati alla competenza e alla autorevolezza. Il problema è che la meritocrazia presuppone la capacità di valutare realmente il valore di una persona: un’impresa dannatamente complicata. Così nel mondo reale si preferisce ricorrere alla semplici code di carriera. Se una persona brillante ed ambiziosa entra a far parte di un gruppo consolidato, dovrà necessariamente attendere il suo turno per muovere un passo in avanti, anche se le sue qualità sono evidentemente sopra la media. Il rischio serio in questi casi è di perdere una persona molto capace per ridicole consuetudini. La realtà è che siamo in presenza di un sistema NON meritocratico, in cui è premiante l’anzianità di servizio.
Un sistema del genere tende a scoraggiare ed escludere dalle organizzazioni menti brillanti ed ambiziose che sarebbero preziose per affrontare le sfide che il mercato presenta.

Riferimento: https://it.wikipedia.org/wiki/Principio_di_Peter

The game

Qualche tempo fa ho ascoltato Alessandro Baricco parlare del suo libro “The game” e citare la leggerezza come un aspetto del nostro tempo e della civiltà digitale.
In attesa di leggere il libro, ho riflettuto sul tema.

La rivoluzione digitale che stiamo vivendo ha degli aspetti inquietanti. 
Stiamo rendendo tutto facile a tutti.
Ciascuno può ottenere qualunque cosa senza alcuno sforzo: basta un click.
E’ come se avessimo distribuito a tutti i super poteri.
E ci siamo elevati in massa allo status di apprendisti semi Dei a cui è quasi tutto possibile.

Ma non siamo affatto sicuri che questo potere ci renda felici.
Perchè raggiungere una meta senza fatica rende la meta il più delle volte inutile e priva di significato.
Così dopo un pò, all’eccitazione iniziale, subentra una noia mortale ed essere un dio non è più così speciale ma una specie di dannazione.


D’altra parte un potere del genere avrà pure un prezzo…
E se la mela di Apple fosse la stessa mela dell’Eden ?
Il fatto che sia morsicata è già un indizio rilevante…
Forse la rivoluzione digitale è una nuova forma di peccato originale in versione 2.0.